Perfetto, ho pensato. Bravo!
Ma un po’ più tardi, mentre tornavo a casa dopo le lezioni, avevo quella sensazione che ti prende quando non sei soddisfatto di qualcosa, e pensavo.
Pensavo: siete bambini e bambine nati nel 2007.
Avete davanti, almeno, altri 90 anni di vita (spero di sbagliarmi per difetto).
Sono assolutamente sicuro che, in tutti gli anni che avete davanti, non sentirete mai nessuno dire “Noi fummo stati”.
Mai.
Ma proprio mai.
Certo, magari qualcuno di voi leggerà un certo Gabriele d’Annunzio (e farà bene perché il tipo sa come si scrive) e nei suoi libri scoprirà che – a determinate condizioni, e magari dopo che il poeta aveva un po’ esagerato col Bardolino che si faceva portare nella sua villa – “Noi fummo stati” si può usare e, anzi, è proprio l’unico verbo che ci vuole.
Ma questa è l’unica eccezione.
Per il resto, niente. Nessuno attorno a voi userà mai “Noi fummo stati”.
Arrivato a quel punto dei miei pensieri, mi veniva voglia di chiedervi scusa. Di dirvi che noi maestri siamo costretti a insegnare cose vecchie, che la scuola insegue sempre la realtà, eccetera.
Poi, però, ho cambiato idea perché, per fortuna, io leggo molti giornali.
E nei giornali ho visto che ci sono in giro certi tizi che cercano di convincervi che la realtà è semplice.
Che ci sono i buoni (noi, di solito) e i cattivi (gli altri, specie se un po’ diversi da noi).
E che basta eliminare (espellere, emarginare, allontanare, impoverire, cacciare… a volte, persino, picchiare e uccidere) i cattivi perché rimaniamo soltanto noi, i buoni, e il mondo diventi un paradiso di pace e ordine.
Questa semplificazione, stupida e disonesta (vi chiedo scusa ma anche per noi maestri quando ci vuole ci vuole), fa parte di una cosa che noi grandi chiamiamo “populismo”, ma non sono i nomi che contano, quanto il concetto.
Perché – credetemi! – bisogna essere disonesti per dire che il mondo è diviso in buoni e cattivi.
il mondo è drammaticamente più complicato.
Noi non siamo i buoni, gli “altri” non sono i cattivi.
Per quanto mi riguarda, sono già soddisfatto se riesco a essere buono qualche volta. Un paio di volte alla settimana, diciamo.
Il mondo è complicato, e per descriverlo occorrono tutti i modi e i tempi possibili: indicativo, congiuntivo, condizionale, e poi presente, imperfetto (questo è il mio preferito!), passato, trapassato… e un bel po’ di futuri di ogni tipo: semplici e anteriori.
Ecco, mi sono detto.
È per questo che noi maestri insegniamo il trapassato remoto: per continuare a difendervi da coloro che semplificano il mondo.