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Microbiografie/6 – La fragilità di Dado

DiGiorgio Maghini

Feb 13, 2017

Di rivedere, dall’Iran, le bandiere americane in fiamme , i cartelli con scritto “Down with U.S.A.”, i pugni alzati al cielo, l’invocazione della violenza.

Sono questi i primi, indesiderati, frutti della politica di un uomo che recentemente si è visto mettere nelle mani un potere incalcolabile. Un uomo che esprime una politica stupidamente aggressiva e uno stile comunicativo che persino mia figlia (9 anni!) ha definito “infantile”.

Dado era alle superiori con me.
Dopo il diploma ha aperto una piccola azienda nel settore edile.
A scuola era un tipo molto preciso e questo deve averlo aiutato: la sua impresa ha avuto successo e so che in passato ha avuto anni di benessere economico.

Negli anni ci siamo un po’ persi di vista, ma tutte le volte che ci incrociamo per strada, non manchiamo di fermarci, parlare un po’, aggiornarci sulle nostre vite.

Ultimamente, però, parlare con lui è difficile.
Ha perso il sorriso e passa con facilità dalle lacrime agli occhi a un’incazzatura profonda (e minacciosa: immaginate un muratore di più di 100 chili cui si incattiviscono gli occhi).

Perché Dado ha un figlio di 25 anni che, dopo il diploma, non ha mai trovato uno straccio di lavoro: “Ma proprio niente di niente. Niente contratti, niente collaborazioni, niente voucher. Niente.”

“L’avrei anche preso a lavorare con me – mi ha detto – ma io del lavoro in questo momento ne ho poco, e comunque lui vuole essere autonomo. Lo capisco.”

Quando si va sul tema del (mancato) lavoro del figlio, Dado si lancia in lunghe lamentazioni, chiaramente frutto della frustrazione, in cui dichiara la sua rabbia per tutto e il contrario di tutto.

Vorrebbe meno tasse e più servizi, più intervento statale e più libero mercato, che lasciassero in pace chi evade le tasse ma anche che punissero i disonesti, che gli emigrati rimanessero a casa loro ma anche che si aiutassero quei poveri disgraziati sui barconi, il ritorno alla Lira e il sostegno dell’Euro…

Alla fine di questi discorsi, Dado ce l’ha sempre con “quelli là” che andrebbero impiccati tutti. Non so se lui ha in mente con chiarezza chi sono “quelli là”. Io non l’ho ancora capito.

Fosse statunitense, Dado avrebbe votato per Trump.
Nessuno come l’attuale presidente degli USA, fino ad oggi, aveva fondato in modo così platelale una campagna elettorale sulla palese violazione del principio di non contraddizione: perseguire la sicurezza attraverso la potenza militare, il benessere economico attraverso l’isolazionismo, la democrazia attraverso l’esclusione, la rappresentanza popolare attraverso il plebiscito cieco.

Povero, fragile, Dado. Muratore di 100 kg.
La post-truth e la sospensione del concetto di contraddizione ti hanno privato della possibilità di formarti idee, di esprimere critiche, di riflettere sulle cause della tua rabbia e di immaginare un’Italia diversa, per tuo figlio e per i figli degli altri.

Lo so: mi diresti che con le mie chiacchiere filosofiche non si riempie il piatto.
Hai ragione, ma ancora di meno il piatto si riempie con la voglia di spaccare tutto e col pianto.

In quel modo, al massimo, si finisce a bruciar bandiere e a levare i pugni al cielo.

Di Giorgio Maghini

Pedagogista e counsellor ad indirizzo sistemico-relazionale. Si occupa attualmente dell’ufficio comunicazione della Istituzione per i servizi educativi del Comune di Ferrara. Obiettore di coscienza, è stato Insegnante di sostegno e, in seguito, coordinatore pedagogico nella scuola dell’infanzia. Attualmente coordina un gruppo di Insegnanti di Religione, coi quali riflette sulla comunicazione della spiritualità nel mondo multiculturale. Ha insegnato "Teorie della comunicazione” all’Istituto di Scienze Religiose di Ferrara.

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