Chi ha avuto il privilegio di un confronto profondo con Daniele Lugli sente mancare il conforto della sua intelligenza, intesa proprio come capacità di leggere la realtà, tanto più quando accadono fatti che ci lasciano attoniti, ci confondono o ci feriscono. Che allontanano la pace e minano il rispetto dei diritti umani, a partire dal nostro Paese che su di essi fonda la propria esistenza fin dai primi articoli della Costituzione. Come avviene adesso, che una nuova normativa sui migranti interviene – tra le altre cose – sulla condizione dei minorenni stranieri non accompagnati in Italia.
A questo tema Daniele Lugli ha dedicato molto del suo lavoro come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna tra il 2008 e il 2013 e della sua attività di volontariato poi, curando, come me, la formazione dei tutori volontari di Ferrara per ragazzi senza adulti di riferimento. Ci sarà modo di ripercorrere il suo impegno in modo più esteso. Per il momento ci limitiamo al suo contributo alla pubblicazione “I minori stranieri non accompagnati diventano maggiorenni. Accoglienza, diritti umani, legalità”, che raccoglie la seconda parte di un’indagine promossa proprio da Daniele, in quanto Difensore civico emiliano-romagnola, con l’Università di Ferrara.
Lo studio è stato curato da Paola Bastianoni, Federico Zullo, Tommaso Fratini e Alessandro Taurino nel 2010. Era di là da venire la “Legge Zampa” (2017) che ha introdotto in Italia un assetto normativo veramente avanzato e rispettoso dei ragazzi e delle ragazze stranieri in Italia. Ora che questo assetto viene fortemente rimaneggiato non è inutile rileggere queste righe, invecchiate per alcuni aspetti – ma sono testimonianza di quegli anni – non certamente nelle considerazioni di fondo.
MSNA, “emme esse enne a”, un acronimo che sta per minori stranieri non accompagnati. È termine che torna in numerose ricerche, nei rapporti e documenti di quanti si occupano di immigrazione, minori, diritti, devianza. La sigla iniziale, accolta anche in testi normativi, era MNA, minori stranieri non accompagnati, quasi sottintendendo la condizione di straniero. I nostri minori infatti sono sempre accompagnati, magari malissimo ma accompagnati.
Bisogna tornare a Cuore per trovare, nelle migrazione, i MINA, minori italiani non accompagnati, come Marco tredicenne, dagli Appennini alle Ande, alla ricerca della mamma emigrata in Argentina e ammalatissima, o il piccolo patriota padovano, venduto a nove anni dai genitori, poverissimi, a saltimbanchi che lo portano in giro per l’Europa e dai quali fugge, due anni dopo, per tornare a casa, rifiutando l’elemosina di stranieri misericordiosi, ma maldicenti nei confronti dell’Italia. Non c’è bisogno restando in Italia, in verità, di andare così lontano: ci sono italianissimi ragazzi di strada e non solo nell’immediato dopoguerra.
I minori stranieri tutti sono suddivisi in sottocaste: con permesso di soggiorno e iscrizione anagrafica; con permesso di soggiorno ma senza iscrizione anagrafica; senza permesso di soggiorno e senza iscrizione anagrafica; senza permesso di soggiorno, senza iscrizione anagrafica e senza genitori o adulto di riferimento. Ultimi In fondo sono dunque gli MSNA. La loro condizione allarma – sono giovani, stranieri, fuori controllo – e assieme richiama necessità di protezione.
Quanti sono e chi sono
Di minori stranieri in Italia ce ne sono un milione e più. Sono circa un quarto dell’intera popolazione straniera residente, che è molto più giovane di quella aborigena. Tra gli stranieri minorenni quelli nati in Italia sono i due terzi. Con una legge sulla cittadinanza più civile (jus soli invece che sanguinis) molti problemi sarebbero affrontati meglio. Invece un’agevolazione all’ottenimento della cittadinanza (basta la domanda) è solo per i neo maggiorenni stranieri, nati in Italia e ininterrottamente residenti. Ben pochi dunque e neppure sempre ben informati. I non accompagnati sono poche migliaia: forse 5.000 o poco più. Non si conteggiano più i rumeni, spesso Rom, che la cittadinanza europea ha fatto uscire dal calcolo, non dai problemi.
Sono quasi tutti maschi, quasi tutti fra i 15 e i 17 anni. Afghani e bengalesi hanno sopravanzato, e continuano a crescere, marocchini, egiziani, albanesi, che erano fino a poco tempo fa i più presenti. Non mancano giovani e giovanissimi da Kosovo, Palestina, Senegal. In calo erano le provenienze dal Corno d’Africa – Eritrea, Etiopia e Somalia – come risultato dell’accordo con la Libia, al centro del quale non era certo il rispetto dei diritti fondamentali e l’interesse dei minori. I loro sbarchi in Sicilia si erano ridotti a un quinto. È una situazione già cambiata e destinata a evolversi con le condizioni e tensioni presenti in Libia e nei paesi di provenienza.
Cosa facciamo per loro
I MSNA sono comunque pochi, ma molto impegnativi! I Comuni piccoli, che si ritrovavano in modo del tutto casuale in carico i giovani immigrati, spesso non avevano i soldi per assicurarne la prima accoglienza e un minimo di assistenza. E anche quelli maggiori avevano la loro spesa sociale praticamente impegnata. Si ricorda il caso di Ancona, che a questo scopo spendeva, quattro o cinque anni fa, metà delle risorse destinate al sociale.
Una rete tra i comuni, in un progetto nazionale con l’apporto della società civile, ha messo in campo una modalità d’intervento che meglio permette di affrontare il problema. Si tratta per prima cosa di garantirne la sicurezza e l’accoglienza. È un impegno che investe principalmente le amministrazioni della Sicilia, seguite da Emilia Romagna e Lombardia, che si contendono il secondo posto.
Nelle comunità vengono ospitati, assicurando intanto il permesso di soggiorno, l’assegnazione del tutore e l’avvio di percorsi formativi e di lavoro. È in crescita anche l’affidamento familiare, che potrebbe propiziare un intervento più individualizzato. Quale che sia la soluzione resta il problema di garantire mediazione culturale, conoscenza e attenzione ai progetti migratori dei ragazzi e alle loro concrete prospettive ed esigenze.
Che siano intercettati all’arrivo ovvero già presenti sul territorio e individuati da forze dell’ordine o dai servizi sociali, se la soluzione proposta non offre prospettive i giovani cercheranno di uscirne per entrare o rientrare nella “clandestinità”, come attestano le sparizioni al conseguimento della maggiore età o poco prima. Del resto al conseguimento della maggiore età per quasi tutti loro, se non richiedenti asilo, la prospettiva è quella dell’espulsione. Solo una esigua minoranza ha infatti il tempo di maturare le condizioni per un permesso di soggiorno, viste le restrittive norme in vigore.