Per i non ferraresi bisogna aggiungere che significa GAD.
È un acronimo della circoscrizione Giardino, Arianuova, Doro derivato dalla fusione delle tre precedenti, secondo una delle tante riforme alle quali siamo abituati. Annunciano economicità ed efficienza e contraddicono la sola regola organizzativa esistente: se una cosa funziona non aggiustarla. Già i nomi ci dicono trattarsi di zone con verde abbondante a ridosso, a cavallo, prossime alla cinta muraria. Anche Doro (prende il nome dall’ultimo visdomino veneziano, Francesco Doro, che si era insediato alle porte della città e ne è stato cacciato) richiama un senso di liberazione.
Da tempo GAD è divenuto, grazie anche a un incessante martellamento dei media non solo locali, sinonimo di degrado urbano e di presenza criminale. Ad attestarlo c’è stato anche l’invio recente, e credo simbolico, dell’esercito (10 unità operative più due di coordinamento: dodici in tutto se so fare i conti, da dividersi in turni), sarà presente un mese poi si vedrà. Alcuni punti della zona vedono la presenza di spacciatori. Tra loro anche richiedenti asilo. I giornali sottolineano con forza questo aspetto. Possiamo finalmente dare sfogo al panico da immigrazione, all’insicurezza che ha mille cause individuando un obiettivo preciso: giovani neri, fastidiosi, irritanti, indesiderabili, pure delinquenti e dunque inaccettabili, da allontanare con ogni mezzo.
Da anni Bauman aveva avvertito: “il flusso dei migranti e, in particolare, di chi cerca rifugio dalle minacce di persecuzione e umiliazione è profondamente sconvolgente per i nativi: ricorda loro, con invadenza, la fragilità dell’esistenza umana, la debolezza che vorrebbero tanto nascondere e dimenticare ma che li tormenta, comunque, la maggior parte del tempo”.
Ragione e morale si addormentano. Liberi fluiscono paura e odio, nei confronti di chi, colpito spesso da violenze per noi inimmaginabili, è venuto a cercare rifugio. Questa è la risposta che si diffonde rispetto alla nostra ed altrui fragilità. Moreno Incerpi non faceva così, non farebbe così. Ho ritrovato un pezzetto che avevo scritto poco dopo la sua morte avvenuta il 20 ottobre 2006. Lo ripropongo com’è.
Sono passati due mesi dalla sua morte e il ricordo mi torna con forza. Il 14 ottobre a Cento attendevamo Moreno. Il 13 aveva avuto l’incidente. Non lo sapevo. Non lo sapeva l’amico centese dell’Antea, intervenuto al suo posto. L’ho saputo solo a funerali avvenuti. Non sempre leggo i giornali.
Il tema della tavola rotonda, che moderavo, era “Gli anziani a supporto della comunità per innovare la solidarietà tra generazioni”. Gli sarebbe piaciuto.
Avrebbe trovato modo di rivolgersi a me per dirmi vecchio, con quel sussurro che arrivava lontano. Avrebbe, forse, ricordato nel suo intervento qualche trascorso comune e sottolineato certamente l’impegno (tanto maggiore dalla parte sua, ma non l’avrebbe detto), contro la miseria, contro la solitudine, per portare, con continuità e discrezione, amicizia ed aiuto.
Ho conosciuto il Moreno antifascista, sindacalista, cristiano. Era uno di quei cristiani (li riconosco quando ne vedo uno) caratterizzati dall’amore che unisce, non da un fede che può dividere. In ogni incontro ritrovavo il suo calore, la sua generosità, il suo coraggio, che invitava ad essere generosi e coraggiosi. Ancora trasmetteva la persuasione che la classe operaia (esiste ancora?) potesse proseguire la sua azione civilizzatrice e preparasse una società migliore. Trent’anni fa, ai lavoratori da lui organizzati, mi ha fatto raccontare tutto il movimento operaio di un secolo. L’ho fatto seguendo una traccia di Vittorio Foa, ma c’era qualcosa anche di Aldo Capitini: Il lavoratore senza proprietà e senza potere è il termine di riferimento più preciso e più dinamico per la tensione alla nuova realtà sociale.
Ma perché questo avvenga ci vuole un’azione intrisa di valori, di libertà, di eguaglianza, di fraternità: è necessaria la lotta di classe che non è odio, ma è il movimento verso un effettivo eguagliamento se la “classe” porta in sé non l’affermazione del privilegio di un gruppo ma un valore etico per tutti.
In questa ricerca Moreno era impegnato, una ricerca che non ha temuto l’isolamento, uscendo dalle strutture consolidate della politica per cercare nuove vie e andare incontro a nuove delusioni. Anche di quel difficile periodo Moreno mi ha ripetuto la positività, quando ci siamo ritrovati nell’impegno (lo ripeto, molto diseguale) nel volontariato. E ho ritrovato l’organizzatore, l’animatore (perché nelle cose che faceva ci metteva l’anima) dell’Antea, convinto che gli anziani lavoratori avessero ancora molto da offrire affinché la società meritasse l’aggettivo di civile. In lui ho avvertito, ancora più forte, la tensione di cui ci parlava, appunto, Capitini: Tensione che diventa religiosa quando è persuasione dell’inserirsi di quei singoli atti di valore, che è appunto la nuova realtà, la realtà migliore di questa.
E ancora mi appare: gli occhi semichiusi e poi aperti a guardare in alto come a scorgere qualcosa che resta agli altri celato.
E allora adesso lo ripenso Moreno, con la sua certezza che non c’è da aver paura, che il coraggio uno se lo può dare e che la risposta alla fragilità, propria e altrui, non è l’odio, ma la conoscenza, il dialogo, la condivisione. E magari a ricordare assieme che GAD è un bel nome biblico, di un figlio di Giacobbe, di una delle tribù, che significa fortuna e che possiamo fare qualcosa perché anche a Ferrara sia auspicio di buona ventura, per vecchi residenti e nuovi venuti. E lo vedo scuotere la testa, sorridente e pieno di comprensione, quando aggiungo (con uno spruzzo di Cabalà) che GAD, composto di Ghimel e Dalet, vale 7 e che tutti i settimi sono beati e se invertiamo le lettere otteniamo DAG, pesce. Potrebbe dirmi che qualcuno ha insegnato a non preoccuparci che non ci bastino per sfamarci: possono essere moltiplicati.
(nella foto tratta da estense.com un momento dell’inaugurazione della targa dedicata a Moreno Incerpi nel giardino GAD)