La guerra che verrà non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente faceva la fame.
Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente
Bertold Brecht
Mario e Fermo, Mario Baricchi e Fermo Angioletti, il 25 febbraio del 1915 erano ragazzi, diciottenni, reggiani e furono le prime vittime italiane della “grande guerra”, non al fronte, ma a casa, anzi in piazza – in quella piazza che oggi beffardamente si chiama della “vittoria” – di fronte al Teatro Ariosto, dove protestavano contro il comizio interventista di Cesare Battisti, urlando “né un uomo né un soldo per guerra”, uccisi non dalle truppe “nemiche”, ma da quelle “amiche”, cioè dall’esercito italiano che sparò ad altezza d’uomo per disperdere la folla antimilitarista e pacifista. Esecuzione premonitrice delle oltre 3.500 condanne a morte che l’esercito italiano comminerà ai disertori, con processi sommari, tra il 1915 e il 1918.
Non potevano sapere Mario e Fermo che quella guerra – che pochi mesi dopo, il 24 maggio, avrebbe visto, con un colpo di stato di fatto, il reale coinvolgimento dell’Italia – sarebbe diventata la “prima guerra mondiale” e avrebbe provocato oltre 16 milioni di morti complessive (“inutile strage”, fu chiamata da papa Benedetto XV). Che quella guerra avrebbe generato poi, come conseguenza diretta, il fascismo e il nazismo, il cui portato fu la “seconda guerra mondiale” con gli oltre 60 milioni di morti, i campi di sterminio, le bombe nucleari sganciate su Hiroshima e Nagasaki dagli statunitensi e quanto ne è conseguito con la successiva corsa agli armamenti. Oggi ripresa più che mai, insieme allo stillicidio di guerre infinite in giro per il mondo.
Mario e Fermo, giovani operai socialisti – anti-interventisti come la maggior parte del popolo e del parlamento italiani – probabilmente non potevano sapere neanche dei massicci finanziamenti che le aziende produttrici di armi, come l’Ansaldo e l’Ilva, facevano nei confronti della stampa italiana affinché spingesse l’opinione pubblica verso l’interventismo. Anche finanziando direttamente la nascita di quotidiani come il Popolo d’Italia di un certo Benito Mussolini, già espulso dal neutralista Partito Socialista. Non potevano sapere i giovani reggiani che iniziava allora la commistione di interessi, non solo italiana, che teneva strettamente insieme quello che sarà successivamente definito (da un generale di guerra poi diventato presidente degli USA, Dwight D. Eisenhower ndr) con grave preoccupazione per la democrazia, il “complesso militare-industriale”: quel sistema che ancora oggi è capace di mobilitare a comando risorse economiche, strumenti di “informazione” e governi verso questo o qull’intervento militare, spacciato sempre, magicamente, per “missione di pace”. Ma, in realtà, esito inevitabile della continua corsa agli armamenti, sul cui altare – oggi come un secolo fa – si sacrificano enormi risorse pubbliche e vite umane.
Non potevano sapere tutto questo Mario e Fermo, ne potevano sapere che – oltre cento anni dopo il loro sacrificio, a malapena ricordato nella loro stessa città – l’Europa sarebbe diventata nuovamente l’epicentro di una possibile “terza guerra mondiale”, stavolta tra potenze nucleari. Non potevano saperlo ma, con la trasparenza dei loro diciotto anni, avevano chiara una cosa: la guerra no! La guerra non risolve i conflitti ma si abbatte sui popoli e genera nuovi conflitti. Una consapevolezza che è entrata anche – grazie alla lotta di Liberazione – nei “Principi fondamentali” della Costituzione italiana repubblicana, con il solenne “ripudio” della guerra, che però non è servito affinché il nostro paese si facesse promotore di disarmo e costruttore di alternative non armate e nonviolente per risolvere i conflitti: il complesso militare-industriale sovrasta la Costituzione e orienta ancora i governi verso tragiche politiche di guerra, anziché politiche attive di pace.
Oggi il messaggio di Mario e Fermo si rivolge – oltre che al governo italiano al quale dice nuovamente: guerra no! ma neutralità attiva, equidistanza e mediazione ad oltranza – direttamente ai popoli di Europa, a cominciare dai cittadini più giovani, perché anche loro, insieme ai nonviolenti e pacifisti ucraini, statunitensi e russi, sappiano dire più forte di quanto sia mai stato detto prima, ai rispettivi governi: né un uomo né un soldo per la guerra, né in Ucraina né da nessun’altra parte. E sappiano dirlo non solo oggi, sull’onda della paura di una guerra imminente in Europa, come accadde a Mario e Fermo, ma sappiano dirlo fermamente e pretenderlo continuativamente – nel tempo e per tempo – come primo punto di ogni agenda politica, fino a mettere definitivamente guerra e armamenti nell’archivio delle mostruosità della storia.