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Noi, parti offese. Solidarietà in scena

DiElena Buccoliero

Mar 7, 2019

Nel fervente confronto tra buonisti e cattivisti che sempre si scatena dopo un fatto violento, nel bivio tra perdonare/reinserire e buttare via la chiave, c’è qualcosa che accomuna i contendenti: l’attenzione rivolta tutta verso l’autore del reato. Uno ammazza o ferisce un altro e la domanda che ci si pone è cosa fare con il “cattivo”. Conta molto meno quello che si fa con chi ha subito il colpo, che evidentemente deve arrangiarsi da sé.

A fare questi discorsi con un gruppo di ragazzi non si ottiene niente di diverso. Il senso di giustizia a quell’età, lo sappiamo, è molto acuto, poi qualcuno crescendo lo attenua e qualcun altro mai ma a 15 anni e anche a 5 si ha bisogno di giustizia. Manca semmai il senso delle proporzioni, un’occhiata di traverso può legittimamente scatenare una rissa, ma non è più un’esclusiva dell’età, come dimostra il dibattito sulla difesa personale dal bastone al linciaggio

Stare dalla parte delle vittime è ribaltare la prospettiva. Quando uno ha ucciso o ferito un altro e si è dalla parte della vittima o dei suoi familiari ci si può rendere conto di che cosa significa andare avanti dopo la violenza. Tutto cambia, dentro e fuori di sé. Tutto cambia, nell’efficienza del corpo e nelle abitudini mentali, nelle spese da affrontare e nel bisogno di protezione. Se passiamo dal vendicare il torto al consolarne gli effetti – e non so perché, o un po’ lo so, ma l’atto del consolare mi appassiona e in un certo senso mi riassume – la visione cambia completamente, forse perfino lo sguardo sul reo.

Tutto un panegirico per dire da cosa nasce “Noi, parti offese. Solidarietà in scena”, il gioco di ruolo adatto dai 14 anni in su che abbiamo ideato come Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati, una delle mie occupazioni, insieme al Teatro dell’Argine, e che il 20 febbraio scorso abbiamo presentato a Bologna in un incontro regionale.

Nella sua costruzione abbiamo provato a bilanciare ragione e passione, educazione civica e alfabetizzazione emotiva, ascolto e partecipazione diretta. Sarà per questo, forse, che l’abbiamo sempre visto funzionare, in tutte le scuole e i gruppi a cui l’abbiamo proposto, e che le classi più difficili, quella dove “provate pure ma non aspettatevi niente” dicono i prof, si sono sempre fatte catturare. C’è il teatro che colpisce e affascina, una interpretazione che i ragazzi spesso confondono con la realtà convinti che davvero la testimonianza sia autentica. C’è una scatolina di cartone con le istruzioni per giocare tre storie e per ognuna un articolo di stampa, 7 personaggi in video, 10 carte personaggio, un modulo da riempire, una notizia Ansa da pronunciare sul finale. C’è un meccanismo di finzione secondo il quale il gruppo – meglio non più di 20-25 partecipanti, ma in parallelo i gruppi attivi possono essere tanti – impersona il consiglio comunale di una città immaginaria nella quale è accaduto un grave reato, e l’obiettivo è capire, attraverso gli indizi a disposizione, che cosa è accaduto per davvero e poi redigere una buona richiesta di aiuto a favore della vittima. Per fare questo i “consiglieri” dovranno compiere delle scelte e bilanciare da una parte le necessità della persona colpita e dei suoi familiari, dall’altra le opportunità e gli aiuti che la cittadina già offre e quelli che invece non si riescono a dare senza l’intervento di un’altra istituzione.

Lo spunto, che per l’Emilia Romagna vale e per le altre regioni andrebbe inventato, è appunto l’esistenza di una Fondazione deputata all’aiuto delle vittime di gravi reati alla quale i Sindaci possono chiedere contributi in denaro per finanziare progetti di aiuto a loro cittadini colpiti dalla violenza. Una cosa bella, che nelle altre regioni non c’è ma sarebbe bello ci fosse una volta o l’altra, tanto più che l’Unione Europea ci trova inadempienti da tempo nell’aiuto alle vittime di reato. Chi volesse saperne di più su questa faccenda del sostegno alle vittime può acquistare anche in rete una copia del numero 6/2018 di Azione Nonviolenta dedicato appunto al tema.

I fatti – plausibili e immaginari – intorno ai quali si muove il gioco sono: una rapina aggravata ai danni di un signore da parte di un gruppo di quattro minorenni, 2 dei 4, si saprà poi, sono in classe con il figlio della vittima e lo vessano da tempo; una ragazzina di 13 anni adescata in rete e poi violentata da un sedicente giovanotto che ha l’età di suo padre; una donna maltrattata per anni al cospetto dei figli che prova a rialzare la testa e si ritrova a fuggire dall’appartamento in fiamme.

Il rilievo dato ai personaggi adolescenti è voluto per favorire l’identificazione dei ragazzi. Tanti altri sono i personaggi adulti e se si gioca con i grandi succede la stessa cosa, i partecipanti si concentrano sui loro omologhi, siano avvocati o psicologi, insegnanti o assistenti sociali.

I mestieri dell’aiuto ci sono, dentro al gioco, insieme a rappresentanti di associazioni e a familiari, vicini o amici delle persone offese, e sono importanti anche per i ragazzi non sempre a contatto con queste realtà, danno una pennellata di realismo con le loro informazioni e intanto spiegano in breve a che serve un servizio sociale, che cos’è un centro antiviolenza o perché dopo un trauma è legittimo, possibile e necessario stare così male da non farcela da soli. L’avvocato, presente in ogni storia, informa sulle leggi che disciplinano il processo penale dei minorenni o la protezione di donne e bambini e ricorda l’evoluzione di questa normativa che – se si parla di donne o di reati familiari – non può inorgoglire i cittadini italiani. Nell’insieme questi contributi rendono più complessa la lettura di un fattaccio che nella quotidianità si riassume in un titolo a sei colonne o in qualche commento viscerale sui social.

Noi – intendo io e gli attori, e Nicola che nel Centro di Mediazione del Comune di Ferrara ci ha aiutati a filmare, a impaginare, a confezionare tutto – ci siamo divertiti un mondo in questa operazione, da quando abbiamo cominciato a pensare al gioco, a quando mi sono messa a scrivere le trame delle storie, i monologhi teatrali o le carte personaggio, fino a quando lo abbiamo sperimentato con gli attori in tante città e poi trasformato in un kit didattico che ora può essere preso in mano da qualsiasi conduttore di gruppo e riportato nel proprio contesto. Ci siamo divertiti e appassionati, pur maneggiando il dolore, e speriamo che lo stesso accada a tanti altri dopo di noi.

Una copia del gioco di ruolo può essere richiesta gratuitamente a: fondazionevittime@regione.emilia-romagna.it

Di Elena Buccoliero

Faccio parte del Movimento Nonviolento dalla fine degli anni Novanta e collaboro con la rivista Azione nonviolenta. La mia formazione sta tra la sociologia e la psicologia. Mi occupo da molti anni di bullismo scolastico, di violenza intrafamiliare e più in generale di diritti e tutela dei minori. Su questi temi svolgo attività di formazione, ricerca, divulgazione. Passione e professione sono strettamente intrecciate nell'ascoltare e raccontare storie. Sui temi che frequento maggiormente preparo racconti, fumetti o video didattici per i ragazzi, laboratori narrativi e letture teatrali per gli adulti. Ho prestato servizio come giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna dal 2008 al 2019 e come direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati dal 2014 al 2021. Svolgo una borsa di ricerca presso l’Università di Ferrara sulla storia del Movimento Nonviolento e collaboro come docente a contratto con l’Università di Parma, sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti.

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