La schiavitù, la caccia alle streghe, il razzismo, il colonialismo – seppure ancora presenti in molte parti del mondo – da valori condivisi sono diventati disvalori combattuti. Sarebbe bene che anche la guerra, prima o poi – con un necessario, ulteriore salto, di civiltà – subisse questo processo di storicizzazione e di esclusione dal novero delle relazioni umane accettate. Ed allora anche in Italia potremo fare a meno di piazze della “Vittoria” e di vie dedicate a generali macellai. Come Luigi Cadorna, per esempio.
Nel frattempo il movimento iconoclasta antirazzista, giunto anche nel nostro Paese, ha imbrattato la statua di Indro Montanelli per l’aver acquistato una bambina da stuprare – secondo la pratica del “madamato” – durante la partecipazione all’occupazione militare dell’Etiopia da sottotentente dell’esercito italiano, scatenando un furioso dibattito sui media e sui social sull’opportunità del gesto rispetto ai presunti meriti giornalistici successivi, per i quali era stato eretto il monumento. Tuttavia il tema vero, a mio avviso, non è tanto quello specifico legato alla biografia di Montanelli, ma che il nostro Paese non abbia ancora fatto i conti con il violento e feroce colonialismo – nazionalista, fascista e razzista – che insegnò ai nazisti la pratica stragista, i campi di sterminio e l’uso dei gas – dentro al quale si inquadra la stessa vicenda personale di Montanelli – che riguarda un’intera generazione di italiani “brava gente”, alle cui gesta infami sono ancora dedicate vie e piazze in tutta Italia. Quelli che – come ricorda lo storico Angelo Del Boca nel suo Italiani, brava gente? – furono “uomini comuni, non particolarmente fanatici. Uomini che hanno agito per spirito di disciplina, per emulazione, o perché persuasi di essere nel giusto eliminando coloro che ritenevano barbari o subumani”. Le cui gesta causarono, si calcola, almeno 500.000 vittime solo nel continente africano.
La “banalità del male” – per dirla con Hannah Arendt – delle ambizioni imperialiste italiane prende avvio un decennio prima dell’avvento del fascismo, ne favorisce l’ascesa e riceve da questo ulteriore impulso, ideologico e militare. Dalla Libia all’Eritrea, dalla Somalia all’Etiopia fu un susseguirsi di crimini di guerra italiani, anche con la sperimentazione dei gas chimici come armi di distruzione di massa: stragi efferate delle quali nel nostro Paese è stata occultata la memoria. Come la strage di Debrà Libanòs, per esempio, avvenuta in Etiopia tra il 19 e 26 maggio del 1937, come repressione per un attentato fallito contro il generale Rodolfo Graziani – vicerè di Etiopia – raccontata così da Ercole Ongaro su Azione nonviolenta: “A Debrà Libanòs vivevano monaci cristiani-copti, diaconi, suore, pellegrini laici. Comandò le operazioni il generale Pietro Maletti, servendosi di ascari libici e somali musulmani. Fu scelta una località, appartata, fuori dalla città. Il 21 maggio furono fucilati 297 monaci e 23 laici. Il 26 maggio seguì la fucilazione di 129 diaconi, portando così la rappresaglia a 449 persone. Ma una ricerca indipendente condotta tra il 1991 e il 1994 da due docenti universitari indipendenti il massacro di Debrà Libanòs è da valutare tra 1.423 e 2.033 vittime. Mai una comunità religiosa aveva subìto un martirio di tali proporzioni”
Crimini che anticipano i metodi nazisti dispiegati da lì a poco nella seconda guerra mondiale, rispetto ai quali non solo non c’è stato alcun processo di Norimberga sul piano giudiziario, ma con i quali non sono mai stati fatti i conti neanche sul piano storico. Come ricorda Mariangela Mianiti, su il manifesto dello scorso 16 giugno, “l’Italia ha così poco voluto fare i conti con queste verità che Del Boca, quando nel 1965 scrisse per primo dell’uso dei gas tossici, fu sottoposto a una campagna diffamatoria. Si dovette arrivare al 1995, quando il governo Dini aprì gli archivi, per dimostrare che aveva ragione, ma nemmeno dopo di allora si è voluto avviare un processo di verità su chi siamo stati e che cosa abbiamo fatto davvero nelle colonie, ovvero non brava gente, ma massacratori”. Ne’ sono stati mai trasmessi in Italia film che raccontano quelle vicende: da Il leone del deserto film libico del 1981 con Anthony Queen e Irene Papas, che racconta la resistenza anti-italiana, a Fascist Legacy, documentario della BBC del 1989 che racconta i crimini fascisti, ai cittadini italiani non è concesso di conoscere le oscure e tragiche vicende della nostra storia coloniale.
Anche per questo, poiché il gesto simbolico sul monumento a Montanelli è stato rivendicato da una “rete degli studenti”, suggerisco che sarebbe più rivoluzionario – anzi riparatore – pretendere dagli insegnanti un approfondimento senza remore della violenza del colonialismo italiano e chiedere l’istituzione di una Giornata della memoria per le vittime del colonialismo italiano, da svolgersi all’interno delle scuole e non solo. Non è una richiesta nuova: c’è una proposta di legge del 23 ottobre del 2006 che giace in Parlamento, ispirata da Angelo Del Boca, mai presa in considerazione. Oggi è tempo di dare memoria alla memoria, raccontando la storia dalla parte delle vittime, perché le atrocità coloniali degli italiani non continuino ad essere lavate via dalla coscienza nazionale. Come la vernice rossa dalla statua di Montanelli.