Sono elemento decisivo e apprezzato del welfare, per l’assistenza prestata a anziani soli, non ricoverati in strutture. Quando si parla però di Ucraina viene da fare gli scongiuri. C’è, probabilmente, un guaio in vista: Chernobyl, Crimea, Donbass e ora il delirio di un conflitto, gravido di minacce per la sicurezza generale, nel cuore dell’Europa.
Di Chernobyl ci siamo dimenticati: aprile del 1986, è il più grave degli incidenti nucleari, abbandono di due città, paesi e fattorie prossimi alla centrale, effetti ovunque in Europa. Ora c’è una grande riserva naturale: una foresta è cresciuta, popolata di orsi, lupi, linci, bisonti, cervi, fagiani. Vi si esercitano pure i soldati della Guardia Nazionale ucraina per prevenire un attacco russo dalla vicina Bielorussia. L’esposizione prolungata a radiazioni anche attenuate ha pessimi effetti. A differenza degli animali dovremmo esserne consapevoli. In Italia la ripresa del dibattito sul nucleare dimentica i Referendum nel 1987, stop alle centrali in costruzione e nel 2011 stop al programma nucleare. È vicino, marzo dello stesso anno, l’incidente di Fukushima.
Della Crimea so da tempo: Lo stuolo di La Marmora sui campi di Crimea, la foce Eridanea ritolse allo stranier. Nel 1853-54 l’alleanza con Francia e Gran Bretagna, voluta dal lungimirante Cavour in aiuto all’Impero Ottomano contro la Russia, pone le condizioni dell’allargamento del Regno con la conquista della foce del Po (Erìdano) e dunque la cessazione del dominio pontificio e austriaco su Ferrara. Cento anni dopo i campi di Crimea, nel 1954, Chruščëv regala all’Ucraina la penisola di Crimea. Nel 2014, nella Crimea occupata, un referendum sancisce l’annessione alla Russia. La flotta russa vi approda i questi giorni. Al rilievo di Macron di violazione del territorio ucraino Putin risponde di averlo fatto, in Crimea e altrove, per proteggere la popolazione dagli abusi di un governo illegittimo appoggiato dai paesi occidentali. I non russi che in Crimea risiedono vedono minacciata la loro permanenza.
L’altrove, del quale parla Putin, è il Donbass. Da otto anni gli scontri continuano, i morti sono migliaia. Si proclamano tregue continuamente violate. Anzi le violazioni si accentuano. Secondo Paolo Bergamaschi, ottimo conoscitore di quella realtà e dal quale ho appreso il pochissimo che so, “i secessionisti del Donbass combattono con armi, assistenza militare e mercenari russi seguendo i tempi dettati dal Cremlino. La strategia russa è quella dell’instabilità controllata dei paesi vicini attraverso l’occupazione indiretta di larghe fette di territorio. Il gioco di Mosca, poi, è quello di proporsi come parte terza e forza pacificatrice per mediare e facilitare il dialogo fra le parti controllandone e determinandone gli sviluppi e pregiudicandone la sicurezza”. Un reporter italiano, assieme a uno russo, sono uccisi nel maggio del 2014 da lealisti ucraini. La circostanza, sempre negata, è accertata oltre ogni dubbio. C’è un servizio su Rai News che raccomando.
L’Ucraina ha una popolazione di 45 milioni di abitanti, una superficie doppia di quella dell’Italia e una storia che andrebbe ripercorsa. Leggo dal Post che “Ucraina” significa sul confine (u krajna). Uno spazio di frontiera, sempre conteso e conquistato dai potenti vicini: Russia, a est, e Polonia, a ovest (e anche, quando c’era, l’Impero Austro-ungarico). Ancora oggi, un piccolo monumento vicino al confine con la Slovacchia ha un’epigrafe in latino che la Società Geografica di Vienna fece apporre nel 1911: “Grazie a un sistema di meridiani e paralleli, in questo punto è stato fissato il centro dell’Europa”. Non è la frontiera dell’Europa, ne è il centro, È una storia che merita di essere conosciuta. Un assaggio lo trovo sempre su Post.
In Ucraina si susseguono vicende decisive nella storia dell’Europa e del mondo. Ancora più lontane radici si trovano nel passaggio dalla preistoria alla storia, nella nascita delle prime città. Un paragrafo de L’alba di tutto, un libro del quale ho già detto, è intitolato Sui megasiti e come le scoperte archeologiche in Ucraina stiano capovolgendo la saggezza convenzionale sulle origini delle città. Precedono addirittura le primissime città mesopotamiche. Non li chiamano città, ma megasiti, perché non si vedono tracce di templi, palazzi, fortificazioni. Risultano abitati almeno dal 4100 al 3300 a.C., una durata lunga, superiore a molte città successive. A Talianki ci sono case vicine, rettangolari, larghe cinque metri, lunghe il doppio, fondamenti di pietra, telai di legno, canniccio ricoperto di argilla e fango. Hanno orti annessi e si dispongono in modo circolare attorno a uno spazio vuoto. Le ricerche degli archeologi non vi hanno trovato né edifici né tombe sfarzose. Uno spazio vuoto a che poteva servire? A cerimonie, ad assemblee popolai, a radunarvi gli animali? Non sappiamo. I rilevamenti ci dicono di orticoltura, allevamento di bestiame, coltivazione dei frutteti, attività di caccia e di raccolta e, nelle case, statuine di argilla, modellini, stoviglie di varie forme e colori. Ma mancano mura difensive, non ci sono palazzi del potere. Non possiamo considerarli città? Sono al più villaggi seppure molto cresciuti, fino ad occupare aree di 300 ettari, con una popolazione tra i 10 e i 15 mila abitanti? Ci sono edifici più grandi, li chiamano case delle assemblee: Non ci sono spazi per cucinare, conservare il cibo. Non vi sono segni di presenza di una classe superiore politica o religiosa.
Non mi spiace pensare che nel centro dell’Europa si sia sviluppata una convivenza urbana, pacifica ed egualitaria in tempi così lontani, come auspicio di realizzabilità nel presente.
Nel sito di Costituente terra trovo un articolo le cui riflessione e conclusione condivido.
“Il conflitto regionale ucraino, che deriva dal fallimento della transizione al capitalismo reale da parte delle oligarchie predatorie eredi della nomenklatura stalinista chiede che siano ripresi sul serio il concetto di ‘sicurezza collettiva’ e l’idea stessa dell’Europa ‘dall’Atlantico agli Urali’ come area di pace democratica, sociale ed economica condivisa. Perché l’alternativa è il blocco della transizione ecologica e l’instabilità permanente nel continente europeo, compresa la deterrenza nucleare ereditata dal passato”. In questa Europa vorrei vivere e vorrei vivesse la ragazza ucraina, incontrata in occasione di un’attività formativa di Servizio civile, nei giorni del conflitto sulla sua terra. Ne ricordo lo sguardo dolce e smarrito.