Nonviolenza, territorio e partecipazione
L’esperienza di un gruppo eterogeneo e collegiale
di Vittorio Venturi *
Il centro territoriale di Modena si è formato, si è consolidato ed è cresciuto in seguito ad un percorso formativo condiviso negli ultimi anni sui temi della nonviolenza. Non abbiamo voluto fare forzature: dapprima ci siamo definiti semplicemente “amici della nonviolenza”; strada facendo ci sono state nuove adesioni e parallele defezioni, ma la caratteristica di fondo del gruppo è stata quella di una sua stabilità nel tempo.
La nostra esperienza formativa ha mosso i primi passi nel 2009, per iniziativa di alcuni degli appartenenti alla “storica” Casa per la Pace (luogo di incontro e progettazione di associazioni a vario titolo impegnate sui terreni della pace), convinti che fosse utile investire in opportunità di crescita per arricchire le conoscenze e gli strumenti di chi si prefigge il cambiamento per la costruzione di una società più giusta.
Poiché si tratta di un gruppo eterogeneo per età, esperienze, appartenenze associative, professioni, etc., va segnalata la particolarità di una coesione che dura nel tempo non perché tenuta insieme da una cornice organizzativa strutturata (un’organizzazione, un partito), ma da un senso di appartenenza che nasce da motivazioni e bisogni personali profondi, che evidentemente hanno trovato punti di incontro, ma soprattutto risposte credibili e convincenti. In questo sta l’interesse dell’esperienza. La collegialità e la ricerca collettiva, dal punto di vista del metodo, sono state condizioni decisive per avere voglia di andare avanti insieme. Il gruppo ha sperimentato la metodologia della progettazione condivisa, tenendo conto del punto di vista di tutti, ricercando punti di convergenza successivi fino a trovare la sintesi finale soddisfacente per tutti. È un metodo che richiede tempo e pazienza. Però abbiamo toccato con mano che è anche il metodo che, dando soddisfazione a tutti e facendo sentire che l’apporto di ciascuno è utile, ha creato un clima di grande coesione.
Gli approcci alla nonviolenza sono stati molteplici, dall’ormai lontano 2009, quando c’è stato il primo avvicinamento in due incontri tenuti da Nanni Salio. Poi ogni anno si è definito un percorso formativo fatto di incontri tematici e di veri e propri laboratori di studio e ricerca. Quello sulle parole-chiave della nonviolenza ci ha impegnato per ben due anni. Accanto ci sono stati i training, che hanno unito teoria e sperimentazioni concrete, come abbiamo fatto con Pat Patfoort.
Poi c’è il “merito”, il contenuto del lavoro formativo. Nel nostro caso la nonviolenza, diversamente declinata e considerata, come grande punto di riferimento culturale, ma anche come patrimonio di esperienze da cui attingere metodi, tecniche, strategie per la trasformazione sociale e per la gestione delle relazioni, nella sfera pubblica come in quella personale. La richiesta di partecipazione a momenti formativi sulla nonviolenza è andata aumentando. Abbiamo visto che diversi dei partecipanti alle esperienze di questi anni si sono fortemente motivati a dare seguito ai processi formativi e a coinvolgere altre persone. Un esempio emblematico è quello della formazione con Pat Patfoort, che è cresciuta di anno in anno, estendesi in modo significativo a diversi soggetti cittadini: per esempio sindacalisti della CGIL, educatori e genitori, ragazze e ragazzi del servizio civile volontario, volontari dei corsi di cooperazione internazionale.
Ci sembra che la nonviolenza risponda a bisogni concreti e diffusi. Come comportarsi in situazioni di conflittualità, nella sfera privata come in quella pubblica, per non fare precipitare le cose in modo irreparabile? È possibile fare una proposta positiva anche quando la divergenza appare irrimediabile? Quindi risolvere un problema, trovare una soluzione di reciproca intesa? Cambiare insieme, rifuggendo l’idea che la soluzione c’è solo se uno vince e l’altro perde?
Crediamo che educare alla pace passi per la strada obbligata della formazione alla nonviolenza. Leggere la società, le sue dinamiche, le sue possibili trasformazioni, attraverso gli occhi della nonviolenza, offre un punto di osservazione inedito per ripensare i valori, ma soprattutto per acquisire strumenti concreti di cambiamento. Potere essere artefici di trasformazione, con tecniche nonviolente, è una competenza trasversale e utile in ogni dimensione di vita, da quella dell’impegno politico, sociale, sindacale, a quella interpersonale.
Di fronte a questa storia, alle varie guerre umanitarie, preventive, per l’esportazione della democrazia o la difesa di vitali interessi nazionali, ci sembra quanto mai giusta la definizione che Giuliano Pontara dà della nonviolenza: l’antibarbarie, che non a caso abbiamo scelto come titolo dei nostri più recenti cicli di incontri pubblici.
Il gruppo del MN di Modena è cresciuto, sperimentando concretamente che il metodo di lavoro è sostanziale, per ‘restare uniti’, crescere insieme e rafforzare il senso di appartenenza e condivisione. È cresciuto dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Ha saputo interloquire e interagire con il territorio: resta fondamentale, da questo punto di vista, l’esperienza organizzativa della festa per i 50 anni di Azione nonviolenta, costruita in oltre un anno di paziente relazione e condivisione con le istituzioni locali (Comune-Circoscrizione) e le realtà del territorio in cui abbiamo realizzato la festa: circoli, associazioni, parrocchia, gruppi scout, singoli cittadini. I quattro giorni dell’evento sono stati vissuti come risultato di un lavoro collettivo dentro la città, nel quartiere, pienamente inserito e radicato nel territorio. E da quell’esperienza si è rafforzata la nostra capacità di essere, insieme, soggetto politico e culturale ed educativo. Si sono moltiplicate le iniziative e le partnership: le iniziative pubbliche sono proliferate (anche in parallelo alla campagna “Un’altra difesa è possibile”), abbiamo messo in campo progetti formativi per le scuole (tramite gli itinerari didattici del Comune di Modena), sperimentato con buon successo le competenze maturate da una parte del gruppo e l’efficacia dei moduli preparati. Nel contempo abbiamo svolto un ruolo importante nel lavoro di rete e di ‘cucitura’ tra un numero elevato di associazioni e forze sociali cittadine, riunite attorno a un tavolo costituito a fine 2015 con l’esigenza di dare risposta al bisogno di reazione contro la paura e lo smarrimento della terribile escalation di violenza “guerra-terrorismo-guerra”. Manifestazioni ripetute nel corso dei mesi, fiaccolate, presidi, per lo più accompagnati da una buona partecipazione dei cittadini e sempre con il coinvolgimento delle istituzioni, sono state il concreto risultato di un lavoro condiviso per l’affermazione di una cultura della nonviolenza, come sola strada per superare la logica della guerra e della violenza.
Siamo radicati nel territorio, riconosciuti e apprezzati sia sul versante sociale che su quello istituzionale. Ovviamente con forze limitate, restiamo un piccolo gruppo, ma sperimentiamo la potenzialità e la forza che le strategie nonviolente posseggono: il metodo è davvero parte essenziale dell’obiettivo da raggiungere. E il metodo, per dare risultato, non può che essere di paziente condivisione, di collegialità, di apertura al contributo di tutte/i, di democrazia praticata. Unito alla competenza e alla capacità di fare sintesi della pluralità dei contributi, tradotti in scelte in cui tutti possano riconoscersi. In fondo è questo, il piccolo/grande segreto di una buona relazione con il territorio e di promozione di una partecipazione attiva, motivata e consapevole.
* Centro territoriale del Movimento Nonviolento di Modena