A Torino in questi giorni è nato un nuovo centro di sostegno a bambini e famiglie. Si chiama “NVT psicoterapia e formazione”, e NVR sta per Non-Violent Resistance. Basta questo per incuriosire e spingere a cercare notizie in rete.
Il metodo NVR è stato ideato e sperimentato da Haim Omer, docente di psicologia all’Università di Tel Aviv, e dai suoi collaboratori. Le prime informazioni sull’autore – psicoterapeuta, nato in Brasile, figlio di ebrei polacchi emigrati per sfuggire allo sterminio nazista – lascia intuire radici profonde nell’interesse per la nonviolenza.
Proprio come Pat Patfoort o Joan Galtung, che propongono metodi per l’analisi dei conflitti applicabili dai rapporti interpersonali agli scontri internazionali, anche Omer si ispira espressamente a Gandhi e a Luther King ma poi guarda primariamente ai rapporti interpersonali e ancor più precisamente a quelli familiari. Il suo obiettivo è offrire a chi si confronta con la violenza familiare (soprattutto quella dei figli sui genitori o su altri figli) le risorse per contenere quella violenza e farla evolvere. Alle basi del suo metodo vi è l’idea che di fronte a un figlio violento, o ansioso, o dipendente, sia necessario lavorare con i genitori – o anche con loro – affinché sappiano aumentare la loro presenza educativa senza che questa diventi controllo e evitando di alimentarel’escalation della violenza.
Quando i bambini o gli adolescenti sembrano fuori controllo, con buona probabilità i genitori tendono a controbattere in modo simmetrico oppure a rinchiudersi in un vissuto di impotenza, equalche volta fanno entrambe le cose in momenti diversi. Hanno certamente bisogno di aiuto e sono motivati a impegnarsi per un cambiamento, più dei figli che in quella fase potrebbero essere refrattari anche alle buone vie da intraprendere, quali una psicoterapia personale o un percorso educativo. Haim Omer e i suoi collaboratori sono convinti sia possibile aiutarli a seguire una terza via, alternativa alla violenza e alla resa. La via nonviolenta appunto, applicandola alla relazione educativa.
“Noi facciamo grande attenzione a non cadere nella escalation”, ha affermato Omer nel webinar citato a fine pagina, dove parla in un ottimo italiano. “Quando i figli diventano violenti i genitori sono spaventati, è normale che sia così, e non sono capaci di confrontarsi con loro. Per noi l’attenzione all’autocontrollo del genitore è essenziale, è proprio diretta a evitare l’escalation. Bisogna battere il ferro finché è freddo: prendere tempo, rinviare la discussione a dopo che la rabbia è sbollita”.
Una peculiarità del programma è la capacità di coinvolgere i padri, così difficili da agganciare in tanti altri programmi terapeutici. “Coinvolgiamo i padri facendo capire che c’è veramente bisogno di loro”, ha detto Omer. “Quando l’educazione dei figli è delegata alla madre è un male perché madri e padri sono diversi”.
Tra le sue tecniche ci sono sit-in domestici, ronde telefoniche, rivisitazione della rete allargata. “La violenza non è mai una questione privata. Per questo i genitori sono autorizzati a parlarne con altri, a chiedere aiuto, a farsi supportare nell’intervento educativo da altre figure importanti e riconosciute dal figlio. Lo zio o l’educatore chiama il ragazzo e non è solo per creare vergogna, è dire: mi interessa di te, ho fiducia in te, credo in quello che puoi fare e ti dico che stai sbagliando. È indurre vergogna, sì, ma una vergogna positiva, per il cambiamento”.
I concetti e i metodi della presenza genitoriale, della resistenza non violenta, della cura vigile, di ancora quale ponte fra autorità e attaccamento sono stati introdotti e utilizzati dalle equipe dei centri in Israele, Stati Uniti, Canada, Germania, Svizzera, Olanda, Belgio, Inghilterra, Svezia, Danimarca e ora anche in Italia. Molti studi e ricerche sull’efficacia del metodo sono pubblicati su libri e riviste con un approccio sia divulgativo sia scientifico.
In Italia il centro nasce dopo diversi anni di collaborazione tra il docente israeliano, supervisore, e alcune realtà torinesi di lungo corso, quali la cooperativa sociale Paradigma, Riflessi e l’associazione “Il Melo”. La sua vocazione è quella di proseguire nella sperimentazione del metodo prendendosi cura di famiglie o altre realtà educative in difficoltà e proponendo seminari o corsi di formazione.