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Orfani bianchi. Presentato un ricorso all’Unione Europea

DiElena Buccoliero

Lug 7, 2021

Sono migliaia nel nostro paese le assistenti familiari come Vasilica. I loro figli se va bene crescono affidati a parenti. Dalla mamma ricevono scarpe nuove o il vestito per la prima comunione ma non l’abbraccio, la regola, la favola prima di dormire. Per questo vengono chiamati “orfani bianchi”, bambini e ragazzi che orfani non sono ma vivono lontani da uno o entrambi i genitori emigrati per lavoro, con l’obiettivo di procurare ai figli rimasti in patria una vita migliore.

Migliore dal punto di vista materiale probabilmente lo è davvero, viste le ingenti somme trasferite all’estero (nel 2019 si stimava che le rimesse inviate dall’Italia ammontassero a circa 6,2 miliardi di euro, senza contare il denaro non tracciato che viaggia in modo informale, ad es. con i pullman dei migranti), ma per crescere c’è bisogno anche di altro.

I numeri sono imponenti. “L’albero della vita” nel 2010 ha pubblicato un dossier intitolato “Left Behind. Dossier sugli orfani bianchi rumeni” che parla di circa 350 mila bambini o ragazzi separati dai genitori e ne approfondisce le condizioni. Non sono reperibili stime più recenti. Sappiamo però che l’Italia è una delle principali mete dei lavoratori e delle lavoratrici dell’est. Secondo il Primo Rapporto Annuale sul lavoro domestico (2019), redatto da Domina, associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico, il 35% di colf e badanti presenti in tutta Europa lavora nel nostro paese. E, in Italia, la comunità di stranieri più numerosa è proprio quella rumena, 1,3 milioni di persone, per la maggior parte donne (oltre 57%) al lavoro come colf e badanti.

Le conseguenze non sono difficili da immaginare, sia per i figli sia per i genitori. Tra i primi si parla di depressione, senso di colpa, abbandono, tentativi di suicidio. Un articolo tratto da Adevarul del 9 marzo 2007 e tradotto in italiano da Osservatorio Balcani parlava del dipartimento di Iasi, in Romania, dove le autorità avevano creato un comitato composto da un consigliere comunale, un assistente sociale, un insegnante e un sacerdote incaricato di visitare ogni mese i figli rimasti a casa, allo scopo di rilevarne le esigenze e sostenerli nelle difficoltà. Gli insegnanti, infatti, registravano negli adolescenti rimasti soli un incremento dei comportamenti violenti sia verso sé stessi che verso gli altri. Non mancavano, poi, i casi di abbandono scolastico, specialmente da parte di chi era rimasto completamente solo a casa. Tra le madri è nota la “sindrome Italia”, che di nuovo significa senso di colpa, depressione, stanchezza, perdita di energie, rischio di burn-out sul lavoro e di somatizzazioni importanti.

Il primo aiuto le donne se lo sono dato reciprocamente. Forme di solidarietà spontanea, consiglio, condivisione, che non di rado danno vita ad associazioni di base come ADRI, Associazione Donne Rumene in Italia, fondata nel 2011 e presieduta da Silvia Dumitrache. Sul tema degli orfani bianchi ADRI ha in corso il progetto “Te iubeste mama! / Mamma ti vuole bene” per sostenere genitori e figli a mantenere i contatti almeno in videochiamata e ridurre il senso di solitudine e abbandono, ma l’associazione è molto attiva anche per denunciare le condizioni strutturali di sfruttamento delle donne.

L’Organizzazione internazionale del Lavoro nel 2016 ha pubblicato una raccomandazione in cui chiede di riconoscere i diritti dei lavoratori domestici e delle badanti attraverso uno status giuridico comunitario. Così, questi godrebbero degli stessi diritti dei lavoratori locali.”, ha ricordato Silvia Dumitrache in un’intervista a Redattore Sociale. “Questo però ancora non accade: in Italia avviene quello che noi definiamo uno sfruttamento istituzionalizzato. Il problema? Il welfare che non c’è. Questo sfruttamento non è colpa delle famiglie: è lo Stato che non esercita il proprio obbligo di garantire la dignità a questi lavoratori”.

Una recente Risoluzione e Raccomandazione dell’Unione Europea del marzo 2021 tornano sul punto. “Lasciare milioni di bambini senza cure parentali è una violazione di massa dei diritti umani e una minaccia inutile alla stabilità e alla prosperità dei nostri paesi – si legge -. Tutti i paesi devono riconoscere la portata di questo fenomeno e il danno a lungo termine che crea, e mettere in atto approcci globali alla migrazione per lavoro, che siano incentrati sul bambino, basati sui diritti umani, sensibili al genere e socialmente ed economicamente sostenibili”.

In questo contesto si inscrive il ricorso di Vasilica Baciu che denuncia la violazione del diritto alla vita familiare e alla non discriminazione (rispettivamente, artt. 8 e 14 della Cedu) non per ottenere un risarcimento, ma perché una sentenza esemplare obblighi gli Stati a legiferare a tutela delle famiglie.

Effetto collaterale molto gradito è che il ricorso aiuti a portare il tema all’attenzione dell’opinione pubblica, come già sta avvenendo per altra via. Ricordiamo a titolo esemplificativo i romanzi “Quando tornerò” di Marco Balzano (Einaudi, 2021) e “Orfani bianchi” di Antonio Manzini (Chiarelettere, 2016).

(immagine tratta da linkiesta.it)

Di Elena Buccoliero

Faccio parte del Movimento Nonviolento dalla fine degli anni Novanta e collaboro con la rivista Azione nonviolenta. La mia formazione sta tra la sociologia e la psicologia. Mi occupo da molti anni di bullismo scolastico, di violenza intrafamiliare e più in generale di diritti e tutela dei minori. Su questi temi svolgo attività di formazione, ricerca, divulgazione. Passione e professione sono strettamente intrecciate nell'ascoltare e raccontare storie. Sui temi che frequento maggiormente preparo racconti, fumetti o video didattici per i ragazzi, laboratori narrativi e letture teatrali per gli adulti. Ho prestato servizio come giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna dal 2008 al 2019 e come direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati dal 2014 al 2021. Svolgo una borsa di ricerca presso l’Università di Ferrara sulla storia del Movimento Nonviolento e collaboro come docente a contratto con l’Università di Parma, sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti.

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