Mi sono trovato con altri a parlare della presente situazione in Italia e nella mia città. Poiché non l’apprezziamo ci siamo chiesti che fare per contribuire a cambiarla. Ci saranno scadenze elettorali vicine, come ad esempio elezioni regionali. Il tentativo sarà di “ferrarizzare l’Emilia”. Non entro nel tema specifico delle elezioni, ma un modo per contrastarlo è certo riprendere l’iniziativa culturale, sociale, politica localmente, pensando globalmente, come ci insegnava Langer. Un contributo credo possa venire da attività ispirate al metodo nonviolento in tempi in cui la violenza, la sopraffazione, la prepotenza – accompagnate talora da bonomia e bacioni – sembrano tener il campo senza valida opposizione.
Il ricordo è lontano: è la sera del 6 agosto 1963, sono a Perugia al “Seminario Internazionale sulle tecniche della nonviolenza” promosso da Aldo Capitini. Con Piero Pinna stilo una traccia dell’intervento “Tecniche individuali e tecniche collettive della strategia nonviolenta”, che farò il giorno successivo. Con altro materiale, di maggior valore, presentato in quel seminario sarà alla base del libro di Aldo Capitini “Le tecniche della nonviolenza”, uscito nel 1967, con scarsa influenza sul movimento del Sessantotto e su quanto ne è scaturito. La riflessione sul rapporto mezzi e fini nell’attività culturale, sociale, politica è oggi particolarmente necessaria e sarà certo stimolata dalla lettura della snella pubblicazione, che raccomando. Proprio per una ripubblicazione di quel testo Pinna, qualche tempo prima della morte, aveva scritto appunti introduttivi non utilizzati.
“Questo libretto è qualcosa di molto più che un semplice, sia pur prezioso, manuale atto ad assicurare alla nonviolenza un insegnamento più sistematico ed un uso più pronto. Troviamo infatti… pagine dedicate ai fondamenti, le ragioni e le finalità di quella nonviolenza bene intesa… Che è questo spirito? Capitini lo condensa in una formula: Nonviolenza è apertura all’esistenza, alla libertà e allo sviluppo di ogni essere; apertura radicata nel sentimento dell’unità amorevole di tutti, operante verso tutte le persone nella loro individualità singola e distinta”. Per niente facile: vi sono persone, non poche, rispetto alle quali il mio sentimento non è di unità amorevole. Posso però assumere l’impegno a non esercitare violenza nei loro confronti e operare per un comune sviluppo nel bene, nel meglio, come ripeteva Piero.
Sempre Piero sottolineava “un principio essenziale nella lotta al male sociale: quello della noncollaborazione… se le ingiustizie sono così largamente e profondamente radicate nella società, ciò dipende dal fatto che queste ingiustizie beneficiano della complicità, cioè a dire della collaborazione, della maggioranza dei membri della stessa società. Pertanto, è indispensabile sottrarvisi, al fine di indebolire, avariare ed esautorare il potere violento, oppressore e ingiusto… Gandhi riteneva che la noncollaborazione al male fosse un dovere anche più grande di quello vòlto all’effettuazione del bene”.
Alcune condizioni Pinna ricordava e praticava nella sua azione, che ho avuto il privilegio di condividere in qualche significativa occasione “1. Astensione della violenza. Al primo posto v’è ovviamente l’astensione dall’uso e dalla minaccia della violenza, in qualsiasi forma e dimensione, nel pensiero, nella parola e nell’azione. 2. Adesione alla verità. Nei suoi aspetti di obiettività e imparzialità: l’una nella scrupolosa corretta descrizione degli elementi conflittuali, l’altra nell’accordare agli interessi dell’oppositore pari rilevanza a quella riservata ai propri. 3. Disposizione al sacrificio. Dei sacrifici derivanti a causa del conflitto, il nonviolento dev’essere disposto ad assumersi una parte maggiore di quella che ne deriva all’oppositore; cercando sempre altresì di ridurre al possibile le sofferenze che la sua lotta può comportare ad esso. 4. Disposizione al compromesso. Cedendo reciprocamente su alcune questioni secondarie, v’è la costante disposizione ad addivenire a una soluzione onorevole per ambedue le parti in conflitto… 5. Programma costruttivo. È la parte positiva della nonviolenza, la sperimentazione e la prefigurazione del nuovo ordine sociale che si vuole realizzare”.
Ci sono temi importanti ai quali applicarsi in una campagna nonviolenta, locale e nazionale. “Un preliminare aspetto del lavoro costruttivo, di particolare significato e portata, è costituito dallo sforzo positivo vòlto a obiettivi che l’avversario stesso abbia interesse a veder realizzati e per i quali sia necessaria la collaborazione reciproca (i cosiddetti fini sovraordinati) da cui anche una sensibile riduzione delle ostilità grazie al naturale mutamento delle immagini sfavorevoli che i gruppi antagonisti hanno l’uno dell’altro”. Penso al tema della sicurezza ad esempio. Sta a cuore a tanti che, in buona fede, sostengono chi ne fa mero strumento di consenso elettorale. Sottrarli alla complicità è un compito degno. Parola mia, parola di Piero.