• 30 Dicembre 2024 18:04

Partigiani oggi: valori da difendere, avversari da combattere

DiDaniele Lugli

Lug 17, 2023

Edgar Morin ha da poco compiuto 102 anni. I suoi testi accorati e lucidi sono una critica appassionata al presente. Li ha citati in molte occasioni Daniele Lugli, come in questo articolo pubblicato per ferraraitalia, oggi Periscopio, il 3 settembre 2014. Il testo non è invecchiato, se si eccettua qualche riferimento all’attualità di allora. L’autore si interroga su che cosa significhi essere partigiani oggi. Le violenze cui opporsi sono evidenti e molteplici, a ogni livello. La scelta partigiana che Daniele propone è etica, politica, fondata sulla nonviolenza, e ripensata alla luce delle 7 riforme che Edgar Morin indica necessarie.

Partigiani oggi: cioè dalla parte della liberazione di cui oggi avverto esservi un forte bisogno.
Valori da difendere: valori si diceva un tempo. Poi è parso che il termine comportasse rigidità, contrapposizione, quasi l’impossibilità di un confronto tra sostenitori di valori diversi, soprattutto quando i valori sono stati detti non negoziabili. I miei amici mi hanno suggerito di usare la parola principi, cosa che ho fatto, anche per il richiamo agli immortali principi. Anche dei principi si è poi detto non negoziabili e quindi…

Valori o principi che siano io sono fermo a quelli della Rivoluzione francese: la libertà, da conquistare e approfondire continuamente in un processo di costante liberazione da vincoli e ignoranza, l’uguaglianza, tra persone impegnate nel medesimo processo di liberazione personale e collettiva, la fraternità, che può stabilirsi tra soggetti liberi ed eguali. Ogni termine andrebbe precisato e indagato a cominciare dalla libertà – siamo liberi secondo il concetto di libertà che ci è dato – all’eguaglianza – che non è identità, considera le diversità e se ne arricchisce, ma è contraria alle smisurate e crescenti distanze economiche e sociali – alla fraternità – forse la più difficile da praticare quando appare normale che il successo personale si fondi sul fallimento dell’altro.

La difesa di questi valori è costituita dal loro avanzamento e radicamento. Se restano statici o solo predicati vanno a male, come l’esperienza del nostro mondo ancora privilegiato dimostra. È una difesa molto attiva quella che serve, la sola possibile sul piano individuale e collettivo ai diversi livelli. L’azione nella quale ripongo la massima fiducia è quella conforme ai valori che vuole affermare e cioè libera, egualizzatrice, fraterna. Richiede apertura all’altro, al diverso, alla sua esistenza, alla sua libertà, al suo sviluppo. È una definizione (la preferita) che Capitini dà della nonviolenza.

Avversari da combattere: sono avversari appunto quanti si oppongono alla libertà, un tempo in nome dell’eguaglianza oggi più spesso di una fraternità (umma) escludente il diverso come nell’orrida proposta del cosiddetto califfato. La chiusura, l’intolleranza nei confronti di chi appare diverso la colgo però bene anche attorno a me e in me. Sono avversari dell’eguaglianza, denunciati da Lelio Basso almeno quaranta anni fa in primo luogo i potentati economici e finanziari grazie ai quali “La democrazia appare sotto assedio. Un pugno di manager di immense multinazionali fanno e disfano quello che vogliono. Gli altri miliardi di uomini sono complici o schiavi. Se si rifiutano, nella migliore delle ipotesi, sono emarginati e non contano niente”.

Le gesta del pugno di manager sono entusiasticamente replicate ai diversi livelli sociali. Contro la fraternità, come riconoscimento di un profondo legame razionale ed emotivo tra persone unite da un medesimo destino, gli oppositori non si contano. Eppure già Kant aveva ri cordato che “La solidarietà non è un sogno nobile, ma una reale necessità”. Lo dice un proverbio zulu, che piace a Marchionne (escludendo però i metalmeccanici della Fiom), per cui “una persona è una persona tramite altre persone”: umuntu ngumuntu ngabantu.

Come si debbano e possano combattere tali implacabili avversari, dei quali siamo più o meno consapevoli complici, è un duro quesito. In primo luogo bisogna far cessare, diminuire la nostra complicità, individuale e collettiva ai vari livelli. Vedere in questi nemici gli esponenti di una violenza che va affrontata con mezzi idonei a ridurla in tutti i suoi aspetti, diretti, strutturali, culturali. Qualche anno fa a Brescia, nel Congresso del Movimento Nonviolento, che allora presiedevo, ho detto cose che non saprei ora, e sarà peggio domani, dire meglio: parlando di un continuo processo di apertura personale e collettiva, di liberazione se si preferisce…
Sette riforme indica Morin come necessarie: politica, economica, sociale, del pensiero, dell’educazione, della vita, della morale. L’apertura va portata nella politica, restituendole la sua generosa funzione di costruzione della città per i figli e i nipoti e non occasione di potere e arricchimento personale, aprendo alla comprensione di civiltà differenti e al loro apporto alla città comune.
Va a riformare un’economia in evidente crisi dopo l’ubriacatura finanziaria e il suo svincolo dai bisogni profondi e dalle possibilità di sviluppo delle persone.
Così sono necessarie profonde riforme sociali per rimediare a inaccettabili diseguaglianze di ricchezza e potere. È un sistema intero di pensiero che va aperto, al di là delle estreme specializzazioni che impediscono di cogliere la complessità dei processi. Il confronto costante e impegnato vi è essenziale. La stessa espressione “pensiero unico” è negazione di pensiero. La centralità di processi educativi che mettano le persone nella condizione di esprimere e confrontare pareri competenti, il contrario dell’imperante retorica populista. È la vita che va aperta, a dimensioni che non conosciamo o abbiamo dimenticato.

Il settimo campo indicato da Edgar Morin è dunque quello della morale. Un fine che ha bisogno di mezzi ingiusti non è un fine giusto. Sembra Gandhi ma è Marx, il Marx citato e amato da Camus.

 

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948