Per il dizionario Garzanti la parola “identificare” ha un doppio significato: “riconoscere, stabilire, scoprire l’identità di una persona: identificare i passeggeri di una nave”, è il primo; “determinare con esattezza, individuare: identificare le cause di un fenomeno” è il secondo. Il 22 aprile ad Iglesias si sono verificati entrambi i fenomeni identificativi, in una consequenzialità inversa rispetto all’ordine proposto dal dizionario. Andiamo allora con ordine, ricostruendo i fatti: sono stato invitato dagli amici del Movimento Nonviolento della Sardegna ad un giro di incontri di presentazione del libro Disarmare il virus della violenza (GoWare, 2018), iniziato appunto nel cuore del Sulcis nella Giornata della Terra, con la partecipazione all’iniziativa pubblica organizzata dal “Comitato Riconversione RWM per la pace e il lavoro sostenibile” – ossia dal Comitato impegnato per la riconversione al civile dell’industria bellica sita tra i territori di Iglesias e Domusnovas, dove vengono prodotte bombe come la Mk82 (tristemente nota per essere usata dall’Arabia Saudita nella guerra in Yemen), nell’ottica di uno sviluppo del territorio pacifico e sostenibile – all’interno della sala civica messa a disposizione nella sede municipale dal Comune di Iglesias. L’iniziativa era iniziata con le toccanti riflessioni dei bambini sulla pace e la guerra, aveva visto un mio approfondimento sul sistema di violenza – diretta, strutturale e culturale – che va, appunto, prima identificata per essere poi decostruita e infine disarmata, è continuata con interventi dei cittadini e delle associazioni presenti e si è conclusa con… le forze di polizia che – dopo aver assistito in sala all’intero evento – hanno proceduto all’identificazione di alcuni dei presenti. Sembrava una simulazione, ma era realtà: “Ringraziamo le forze dell’ordine per averci offerto una dimostrazione pratica del concetto di “violenza strutturale” illustrato proprio oggi ad Iglesias da Pasquale Pugliese, durante la presentazione del suo libro “Disarmare il virus della violenza”, ospite insieme a tante altre realtà del territorio”, ha scritto la Campagna STOP RWM nel suo comunicato
Confesso che, in almeno tre decenni di impegno nonviolento, durante centinaia di incontri pubblici di cui decine per la presentazione di libri, non mi era mai capitata una situazione del genere: si è trattato di uno spiazzamento spazio-temporale, che mi riportato alla mente i resoconti di polizia con l’elenco dei partecipanti agli incontri pubblici di Aldo Capitini, accuratamente ricostruiti da Andrea Maori e Giuseppe Moscati (Dossier Aldo Capitini. Sorvegliato speciale dalla polizia, 2014), che riguardavano gli anni dal 1933 al 1968, ossia il fascismo e la guerra fredda. Il 22 aprile del 2022 non me lo sarei mai aspettato. Se non ci trovassimo in Sardegna, nel Sulcis iglesiente, nel pieno di una campagna per la riconversione di un’industria bellica internazionale sotto i riflettori, in un clima generale di militarizzazione del pensiero in cui criticare la nuova corsa agli armamenti (è di questi giorni il dato del SIPRI sul superamento dei 2100 miliardi di dollari spesi globalmente nel 2021) – identificandone tra le cause strutturali anche l’impennata dei profitti delle industrie belliche – è ridiventato sinonimo di disfattismo. Naturalmente, in questo caso, non era il relatore l’oggetto delle anacronistiche attenzioni poliziesche ma alcuni dei componenti della campagna StopRWM: “a nostro avviso si tratta di un atto di intimidazione nei confronti di associazioni e movimenti della società civile, impegnati nel difficile compito di preparare la pace in un momento storico in cui il clima bellicista sta prendendo il sopravvento nella politica governativa e nelle istituzioni” – ha scritto opportunamente in un comunicato il Movimento Nonviolento, ripreso dalle testate giornalistiche sarde – “Oggi mettere in discussione il potere dell’industria degli armamenti e di chi la spalleggia viene evidentemente considerata una colpa, così come quella di dichiarare pubblicamente la propria contrarietà alla guerra e all’invio di armi sul teatro bellico”. Anch’io, insieme a tutti i presenti, ho chiesto di essere identificato. Prima di regalare una copia di Disarmare il virus della violenza all’ispettore della digos, alla guida del nutrito drappello di poliziotti e carabinieri.
Probabilmente – oltre al clima generale, nazionale e internazionale – la campagna per la riconversione civile della RWM dà molto fastidio, su un territorio così già pesantemente segnato dalle tante servitù militari, perché comincia ad ottenere dei risultati importanti e concreti: prima la revoca delle licenze all’esportazione di missili e bombe verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, come ultimo atto del governo Conte, adesso il rinvio a giudizio dell’azienda da parte della Procura di Cagliari per i vertici di RWM Italia SPA e per i funzionari comunali che hanno approvato i piani di espansione illegale della fabbrica delle bombe. “Come abbiamo più volte denunciato, la società RWM Italia SPA – scrive il Comitato per la riconversione – negli ultimi anni, ha portato avanti il suo imponente piano di ampliamento della sua fabbrica di esplosivi e ordigni, violando sistematicamente la normativa urbanistica e quella per la tutela della salute e dell’ambiente. Finalmente l’inchiesta della Procura inizia a gettare un po’ di luce su questa situazione scandalosa e inaccettabile e demolisce completamente la narrazione di un’azienda che opera nel rispetto delle leggi e del territorio e della sicurezza delle proprie maestranze”. La prima udienza si svolgerà il prossimo 29 giugno. Gli amici del Comitato per la riconversione civile della RWM – che prima seguivo da distante ed ora ho avuto la fortuna di conoscere personalmente – sono persone serie, responsabili ed appassionate, attente alla costruzione internazionale della pace ed alla tenuta sociale ed ecologica del loro territorio. Nonviolentemente attive ogni giorno dell’anno, seguendo l’insegnamento capitiniano “se vuoi la pace, prepara la pace”, sia quando le guerre – combattute anche con le bombe costruite vicino casa loro – vengono mostrate in televisione sia quando questo non accade. Quindi, quando qualcuno vuole sapere dove sono e che cosa fanno i “pacifisti” – sempre evocati come un’entità astratta – o sentenzia “l’anno zero del pacifismo” vada, per esempio, a cercali in Sardegna: sono già stati identificati uno per uno. Ed io, immeritatamente, con loro.