Aldo Capitini è non soltanto il padre del Movimento Nonviolento ma di tutta la nonviolenza italiana.
Questo lo rende molto speciale, perché per la prima volta ha detto e ha fatto cose completamente nuove. Anche se prima di lui, il pensiero di Gandhi era conosciuto (e in molti casi avversato), Capitini elabora una visione molto originale, fondata sull’apertura al tu di Tutti, ovvero la nostra capacità di accogliere ogni altro essere e accettarlo così com’è, nella convinzione profonda che ogni essere venuto alla vita contribuisce a creare qualcosa di bello e di buono (questa persuasione Aldo la chiama compresenza). Aldo, quando dice Tutti (anzi la sua frase è: Tutti è il plurale di tu), intende proprio tutti tutti, nessuno escluso. Quindi pensa agli esseri umani, ma anche agli esseri non umani (gli altri animali, le piante, le rocce, persino i batteri e un domani chissà…gli alieni!). Inoltre pensa a quelli che ci possono piacere, gli amici e le amiche, ma anche a chi proprio non ci sta simpatico, e addirittura a chi ci fa del male. Non si tratta di accettare il male, la sofferenza o la violenza: assolutamente no! Quella non si accetta e anzi si combatte! Ma si tratta di riconoscere in chi fa la violenza la possibilità di cambiare e scegliere una via diversa. Una possibilità per la quale vale la pena lottare ogni giorno. Tenendo presente quanto dell’insegnamento di Capitini ci ripeteva sempre Piero Pinna: Il dovere di non collaborare al male è anche maggiore di quello di cooperare al bene. Non che l’uno escluda l’altro intendiamoci, ma da qualche parte bisogna pur iniziare.
Nota biografica (a cura di Giuseppe Sini)
Aldo Capitini nasce poco prima del Natale 1899 da una famiglia semplice di Perugia. Il papà era il custode della Torre Campanaria del Palazzo dei Priori e la casa della famigliola era proprio sotto la torre. Non avendo molti soldi, la famiglia preferisce che il giovane Aldo frequenti un istituto tecnico, anche se lui ama molto le lettere. Così, dopo aver terminato la scuola, mentre lavora prima come ragioniere e poi dando lezioni private, prende il diploma al liceo classico da privatista a 25 anni e si iscrive all’università Normale di Pisa dopo aver vinto la borsa di studio. Qui studierà Lettere e Filosofia, divenendo più tardi segretario della Normale, dedicandosi anima e corpo allo studio. In quel momento il Direttore della Normale era Giovanni Gentile, uomo del fascismo, che nel 1932 tentò di imporre a Capitini di associarsi al partito fascista, pena il suo licenziamento, ma Capitini preferì restare senza lavoro continuando la sua azione di opposizione al regime, che divenne sempre più attiva. Per più di 10 anni sopravvisse tenendo lezioni private, mentre nel 1937 pubblica la sua prima opera Elementi di un’esperienza religiosa (con la Laterza diretta da Benedetto Croce), lavora al liberalsocialismo ed elabora una visione di resistenza disarmata e nonviolenza al fascismo che non avrà successo (il Partito d’Azione scelse la resistenza armata, ovvero la lotta partigiana che conosciamo noi). Tra il ’42 e il ’43 viene arrestato due volte, per poi rimanere nascosto fino alla liberazione.
Dopo la liberazione di Perugia, organizza i COS e si dedica a moltissime attività, come sarà per tutta la vita. Negli anni ’50 la sua azione sarà legata alla diffusione di una visione politica nonviolenta, attraverso libri, seminari, convegni e alla critica tanto alla religione cattolica, quanto al comunismo. Le sue posizioni lo rendono antipatico a molti, di ogni parte politica, perché Capitini si definisce “libero religioso” e “indipendente di sinistra”, tutte definizioni considerate troppo strane e inaccettabili in un’Italia in cui o si doveva essere comunisti o democristiani. La nonviolenza stessa appare una stramberia, nonostante il movimento intorno a lui sia vivissimo e Aldo percorra ogni settimana km e km per dialogare con personalità della cultura e della politica e passi le sue giornate con l’obiettivo di far conoscere a più persone possibili la nonviolenza. A metà degli anni ’60 viene assunto all’Università di Cagliari come docente di Pedagogia, un riconoscimento che fino ad allora gli era stato negato, ma anche un modo per renderlo periferico mandandolo in Sardegna. Senza fermarsi, Capitini coltiverà anche lì il terreno della nonviolenza.
Negli anni ’60, mentre la società iniziava a cambiare per via del boom economico e si respirava un clima molto più vivo e attivo rispetto al primo dopoguerra, si organizzano i movimenti antimilitaristi internazionali, come i movimenti per i diritti civili. Ci si sta incamminando verso quella che passerà alla storia come la rivoluzione del Sessantotto. Lo sfondo è la Guerra fredda e il pericolo atomico, su cui si erano già espressi intellettuali come Russel e Einstein. Anche in Italia c’è fermento e Capitini fa la sua parte con la Marcia Perugia-Assisi e il Movimento Nonviolento.
Fragile di costituzione e con problemi di stomaco sempre più forti, Capitini viene operato a Perugia nell’ottobre 1968 e per complicazioni postoperatorie morirà il 19 dello stesso mese, lasciando a Pietro Pinna la leadership del Movimento e a tutti gli amici e le amiche della nonviolenza l’eredità capitiniana.