Sabato 13 dicembre si è svolta a Cagliari una manifestazione promossa dalle varie associazioni e comitati (fra cui il Movimento Nonviolento Sardegna) che costituiscono ormai il movimento sardo contro le basi militari. Tra le duemila e le tremila persone hanno marciato dal porto fino al palazzo della Regione per chiedere con forza la dismissione delle basi e consegnare al presidente della Regione Pigliaru un ultimatum: che la politica istituzionale sarda si faccia carico delle richieste care a gran parte del popolo sardo: sospensione delle esercitazioni militari, chiusura delle basi e bonifica dei territori contaminati e loro riconversione ad uso civile.
Al termine della sfilata per le vie cittadine, una delegazione ha consegnato al presidente Pigliaru le richieste del movimento anti basi. Il governatore regionale ha assicurato la presa in carico del problema ed il massimo impegno da parte sua e della Regione per “un riequilibrio con dismissioni in tempi certi e massima diffusione dei dati sui rischi per la salute e sui costi economici”.
Rispetto alla prima manifestada del 13 settembre che aveva portato davanti alla base militare di Capo Frasca non meno di seimila persone, c’è stata minor partecipazione (dovuta anche a fattori pratici che qui non considererò), ma si è comunque avuta la conferma che un movimento più vasto è nato e sta riuscendo nell’impresa non facile di durare e consolidarsi.
La manifestazione è stata anche un’occasione propizia per la raccolta di firme per la campagna UN’ALTRA DIFESA E’ POSSIBILE e per una maggior diffusione di informazioni sull’iniziativa. Nel mentre la Difesa, quella armata e militare, continua qua in Sardegna come altrove a fare il bello e il cattivo tempo, con un fitto calendario di “giochi di guerra” per il 2015, nonché la costruzione nel poligono di Capo Teulada di due villaggi (uno “balcanico” ed uno “mediorientale”) per la guerra simulata.
Il movimento contro le basi nel mentre non si ferma. Già per sabato prossimo è prevista una prossima mobilitazione a Teulada, davanti alla base. Perché non è davvero il momento di mollare la presa. La Sardegna ha urgente bisogno di lavoro e di uno sviluppo legato all’ambiente, non di luoghi chiusi dove testano ordigni e proiettili, con rilascio di uranio, torio ed arsenico, che provocano inquinamento duraturo e gravi malattie nella popolazione, oltre che contribuire a preparare mostruose e disastrose missioni di guerra, paradossalmente definite “missioni di pace”.
Per una Sardegna isola di pace e dialogo fra i popoli del Mediterraneo, non più portaerei per bombardieri e per droni, né laboratorio per testare le armi di morte del futuro.
Carlo Bellisai