Così leggo nella lettera mensile, gennaio 1963, che Aldo Capitini invia a noi pochi aderenti del neonato Movimento nonviolento. Non so nulla allora di Bartalini. Lo ritrovo nella mia ricerca su Silvano Balboni, il ferrarese così vicino a Capitini. Nei pochi mesi del 1947 in cui è direttore del settimanale socialista di Ferrara, sempre attento al contributo delle donne ai processi di liberazione, pubblica di Bartalini La contadina e L’operaia di città, Molto di lui e dei suoi familiari possiamo conoscere da I fatti veri. Vicende di una famiglia toscana, scritto dalla figlia Isa, coetanea di Silvano.
Nel suo approdo in Turchia nel 1927 lo accompagnano “una bambina bionda e paffutella di quasi sei anni, una giovane donna bruna di meno di venticinque, una ragazza del Monte Amiata, una giovane signora parigina bionda e truccata, con tacchettini e cappellini, un ciabattino di mezza età, guercio e gioviale, e infine una vecchina asciutta, senza denti, ma molto distinta e ordinata”.
Il lungo, vivace, documentato racconto di Isa ricostruisce una storia affascinante e avventurosa, fatta di impegno e di amicizie. Gramsci, Pertini, Capitini… Suoi libri sono stati riediti di recente: È arrivato Pietro Gori, Il monsignore e il socialista, Tripoli Terra Incantata, Te lo ricordi quel 18 aprile, Il mio Gramsci, Garibaldi socialista. Un fondo, ricco di documenti e corrispondenza, è depositato presso l’Archivio di Piombino. Bartalini è ricordato dall’amico Alberto Castelli nel fondamentale Il discorso sulla pace in Europa 1900-1945. Uno studio approfondito è in Antimilitarismo e pacifismo nel primo Novecento. Ezio Bartalini e “La Pace” 1903-1915 di Ruggero Giacomini.
Il libro di Isa si conclude con cenni autobiografici, compreso l’amore con Andrea Gaggero. Questo risveglia altri ricordi. Il nome di Gaggero lo incontro in un libro per me prezioso, Si fa presto a dire fame di Piero Caleffi. L’ho avuto al ginnasio – come altri delle Edizioni Avanti, Gallo – appena pubblicato, dall’amico Ranieri. Conosco così l’orrore dei campi di sterminio e lo sforzo di chi ha saputo conservarvi la propria umanità. Due persone hanno aiutato molto lui, socialista e allora forse del Partito d’Azione, e altri, a Mauthausen, in questa difficile impresa: Andrea Gaggero, un prete, e Giuliano Pajetta, comunista, fratello minore di Giancarlo. Giuliano viene eletto nel sicuro collegio di Ferrara. Non mi ricorda suo fratello, di lui più noto. Di Caleffi – è nato come me a Suzzara, giusto 40 anni prima – chiedo allo zio Rubes, che ben lo conosce. Di Gaggero, del suo impegno nella Resistenza ligure, che l’accomuna a Caleffi, della sua prosecuzione nella militanza pacifista, ho notizia, ma non ho occasione di incontrarlo.
È con Capitini nel pensare e nell’organizzare la prima marcia Perugia Assisi. Con Italo Calvino per un tratto regge lo striscione di apertura. Al centro c’è Aldo. Gaggero è già stato ridotto allo stato laicale, dopo vari richiami per il suo impegno vicino ai compagni comunisti, già scomunicati dal 1949. Nel 1953 la rottura è definitiva. Quell’anno riceve anche il Premio Stalin per la Pace. Pietro Nenni l’ha ricevuto l’anno prima. Anche Danilo Dolci sarà premiato nel 1957, ma il premio ha preso il nome, più accettabile, di Lenin. Restano due libri pubblicai dopo la sua morte. Vestìo da omo è il racconto della propria vita che Andrea Gaggero, ormai molto malato, fa alla compagna Isa Bartalini. Dall’infanzia, al seminario, al sacerdozio nei quartieri più poveri di Genova, all’impegno nella Resistenza, all’arresto, alla condanna a 18 anni di carcere, alla deportazione, prima a Bolzano e poi a Mauthausen, alla lotta per la pace condotta senza sosta.
Mauthausen. Il dovere della memoria attesta come i suoi ricordi del campo di sterminio siano costitutivi del rifiuto della guerra, del razzismo, degli stermini che l’accompagnano. Ricordare cosa è stato, farlo comprendere a chi non l’ha vissuto e a chi non vuole saperlo è condizione preliminare perché non si ripeta. Anche da ciò la sua collaborazione alla realizzazione del Museo Monumento al Deportato di Carpi. Non dimentico la visita, e la commozione che l’ha accompagnata.
L’Aned, con la quale il Movimento nonviolento ha significative collaborazioni, si occupa di questo aspetto fondamentale. Lo racconta, – Il mestiere della memoria. Storia dell’Associazione nazionale ex deportati politici, 1945-2010 – Bruno Maida. Sopravvissuti ai campi “i reduci dovettero confrontarsi immediatamente con una società che non era in grado o non era pronta per ascoltare”. Per dirlo con Gaggero, “lo shock subìto era dovuto allo scontro tra l’incandescenza creata dalla deportazione e il mondo reale”. Si sono dovute trovare le parole giuste, le forme adeguate. È un lavoro che continua e al quale l’Aned si dedica. A me, intanto, è piaciuto ritrovare qualche immagine da guardare e qualche libro da leggere in questo periodo di forzata permanenza in casa. Spero interessino qualcun altro.