Le dimissioni da ministro di Nicolas Hulot hanno fatto rumore soprattutto in Francia, ma la vicenda del ministro per l’Ambiente d’Oltralpe ha un interesse più generale, se vogliamo mettere a fuoco il rilievo della questione ambientale, ma potremmo dire dell’emergenza climatica che sta stravolgendo (e probabilmente travolgendo) il pianeta. Sul numero corrente di Internazionale è stato tradotto e pubblicato un articolo dell’Economist dal titolo “L’estate in cui il clima cambiò”, riferito alla lunga serie di recenti fatti di cronaca dei disastri: incendi, siccità e nubifragi hanno investito varie regioni del pianeta, dalla Scandinavia al Giappone al Sud Europa, seminando morte e smarrimento.
Hulot, nel suo piccolo, era il fiore all’occhiello dell’ambizioso governo Macron, assurto all’Eliseo sparigliando le carte della politica tradizionale. Giornalista televisivo famosissimo, una carriera costruita sulla cultura ambientalista, Hulot era il testimonial di un possibile nuovo corso della politica, teoricamente incarnato da Macron, ennesimo campione del superamento di destra e sinistra.
E’ finita male, malissimo. Non solo non si è vista in Francia alcuna traccia di un ripensamento delle politiche economiche alla luce dell’emergenza climatica, ma Hulot ha smascherato, al momento di sbattere la porta, il lato meno nobile della politica contemporanea, ossia la trattativa continua, diretta e pressoché segreta con le organizzatissime lobby degli affari (il casus belli, per Hulot, è stata la presenza di lobbisti fin dentro le riunioni governative dedicate alla nuova legge sulla caccia).
La morale è che la motivazione addotta a suo tempo dal presidente francese per chiamare nell’esecutivo un outsider quale Hulot – la necessità di porre la questione climatica al centro dell’azione politica – era e resta la questione del nostro tempo, ma tale proposito, per divenire realtà, ha bisogno d’essere il perno di un ribaltamento del pensiero politico e delle prassi correnti.
Affrontare davvero l’emergenza politica, in altre parole, implica l’abbandono della tradizionale idea di sviluppo, nonché del modo consueto di concepire il potere. I Macron, ma anche le Merkel, i Conte, i Sanchez e via elencando non sembrano all’altezza di un compito del genere: Hulot lo ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio.
“Senza un netto cambiamento di rotta”, sostiene l’Economist nell’articolo citato, “l’umanità rischia di perdere la lotta contro il riscaldamento globale“. In realtà la sta già perdendo. E dire che sono passati oltre vent’anni da quando un politico capace di guardare al futuro, Alexander Langer, indicava la strada della “conversione ecologica”, intendendo con ciò non solo una trasformazione radicale dell’economia ma anche un nuovo indirizzo per il pensiero di tutti e di ciascuno.
La strada giusta resta quella, ma al dubbio se siamo ancora in tempo per vincere la lotta contro i cambiamenti climatici, se ne ne aggiunge un altro: abbiamo davvero, nelle nostre società stremate e consunte dal troppo consumo, le risorse morali e culturali per cambiare rotta? O servirà una spinta – chissà quale, chissà come – dall’esterno?