È arrivata l’Epifania, che tutte le feste porta via e con loro l’ordinanza. La Confesercenti chiede che diventi permanente il divieto, estesa la zona di applicazione ed indurite le sanzioni. L’ha fatto il sindaco di Lecco, vorrà mica restare indietro quello di Como?
Mi è già successo di farne cenno su questa rubrica. Un’amica, attenta lettrice, visto che era stato pure impedito a volontari di portare un po’ di latte per colazione, mi ha scritto: “Quando la povertà e ogni pietà, anche sotto forma di piccolissimi gesti di solidarietà diventano reato, le anime cominciano a puzzare”.
C’è una sindrome della quale, a quanto pare, soffriamo un po’ tutti: insicurezza del vivere. Una sorta di inquietudine si diffonde e ci accompagna nella vita quotidiana. I poveri vi sono molto coinvolti: alla radice vi sarebbe infatti, secondo Adele Cortina, el rechazo al pobre, cioè il rifiuto, il respingimento, il rigetto, l’avversione nei confronti del povero. La paura addirittura. Tanto che la filosofa spagnola ha ritenuto necessaria una parola nuova per questo concetto: aporofobia, composto di áporos (senza risorse) e phóbos (timore, paura). Il neologismo è stato accolto nel dizionario della Real Academia (un equivalente della nostra Accademia della Crusca). Ci ha scritto da poco un libro: Aporofobia, el rechazo al pobre. Un desafío para la democracia (una sfida per la democrazia). Un’amica (le mie amiche sono tutte intelligenti) era intervenuta, tempo addietro, in una discussione su xenofobia e razzismo a proposito di rifugiati e immigrati, indicando il motivo di fondo: “non li vogliamo perché sono poveri”. E infatti nel libro è detto Il problema non è la razza, l’appartenenza etnica o l’immigrazione. Il problema è la povertà… Ci sono molti razzisti e xenofobi, ma aporofobi, quasi tutti… È la fobia verso i poveri che porta a rifiutare le persone, le razze e i gruppi etnici.
La lettura del primo capitolo Una lacra sin nombre (Una cicatrice senza nome), che si trova online, mi ha reso curioso di leggere il resto, a partire dall’Introduzione, contando su un’edizione italiana.
Ma già nelle pagine iniziali, in cui traccia una storia del termine da lei coniato, dalla xenofobia a aporofobia, ho trovato elementi su cui riflettere. In particolare mi ha colpito che il termine sia stato usato da lei la prima volta nel 1995: Fue el 1 de diciembre de 1995 cuando publiqué una columna que llevaba por título «Aporofobia». Me refería en ella a una Conferencia Euromediterránea que tenía lugar en Barcelona en esos días y que pretendía poner sobre el tapete temas candentes en los países del área mediterránea; temas que hoy siguen siendo, como entonces, la inmigración, el terrorismo o los procesos de paz, y a los que habría que añadir la crisis y el desempleo. (Era il 1° dicembre 1995 quando ho pubblicato un articolo intitolato “Aprofobia”. Trattavo di una Conferenza Euromediterranea che aveva luogo a Barcellona in quei giorni e intendenva mettere sul tappeto temi caldi per i paesi dell’area mediterranea; temi che oggi continuano, come allora, ad essere l’immigrazione, il terrorismo o i processi di pace, e a cui dovremmo aggiungere la crisi e la disoccupazione).
Euromediterranea a me ricorda l’appuntamento della Fondazione Langer di riflessione conviviale e divulgazione di temi cari ad Alex. Tutti gli anni si tiene a luglio. E Alexander Langer nell’aprile del 1995 a proposito di quella Conferenza, alla quale la morte gli impedì di partecipare, aveva scritto: Oggi i governi si preoccupano di certi campanelli d’allarme, e tendono ad affrontarli, ma troppo spesso in modo solo repressivo: immigrazione incontrollata, tensioni sociali e ‘rivolte del pane’, la crescita dell’integralismo islamico, i rischi del traffico illegale di droga e di armi… insomma, i pericoli più che le opportunità. La Conferenza inter-governativa euromediterranea, indetta dall’Unione europea per il prossimo novembre 1995 sotto presidenza spagnola, si prefigge – assai positivamente – un nuovo partenariato euromediterraneo, ma rischia di limitarsi a puntare al controllo di alcuni di questi fenomeni ritenuti minacciosi, attraverso accordi di cooperazione e di finanziamento, senza osare un disegno più ambizioso: un partenariato che porti ad una vera e propria Comunità euromediterranea, a fianco ed intrecciata con l’Unione europea”.
Alex come sempre guardava alle possibilità di miglioramento presenti anche nelle situazioni più difficili, intento ad attuare l’indicazione di Italo Calvino: L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Non è così facile. Adele Cortina dice che tutti noi esseri umani siamo aporofobi. È un sentimento che ha radici nel nostro cervello, conficcate nella nostra preistoria e consolidate dalla storia, arricchite e aggiornate da radici sociali. Almeno su queste dobbiamo intervenire.
Il penultimo capitolo del suo libro si intitola Sradicare la povertà, ridurre la diseguaglianza. In Italia l’unico che si sia occupato seriamente di questo tema è stato Ernesto Rossi, nel suo Abolire la miseria. C’era la guerra e lui era al confino. Dopo non c’è stato, e non c’è, nulla di paragonabile. Una cosa si può però fare: non alimentare questa tendenza, che non è l’unica presente in noi. Abbiamo una tendenza all’egoismo e una alla collaborazione, all’odio e all’amore e così via. C’è un racconto cherokee che piace alla filosofa spagnola e anche a me. Un vecchio racconta al nipote che tutti abbiamo dentro un lupo buono e uno cattivo. Quale vince? chiede il nipote. Quello che alimentiamo risponde il nonno. L’alimento preferito del lupo cattivo è l’ipocrisia, dire una cosa e farne un’altra. Su questa si fonda il nostro sistema educativo (famiglia, scuola, istituzioni). Lì l’anima comincia a puzzare.
(Vigna di Mauro Biani)