Può essere un giardino privato, può essere un parco pubblico, o forse un camposanto. Alle sue spalle ci sono due sacchi neri.
La donna sulla scena è Giuliana Musso, un’attrice, regista e drammaturga che sta dando molto al teatro italiano. Lo spettacolo di cui parlo è di qualche anno fa, 2017, si intitola “Mio eroe”, gli è stato aggiudicato il premio Cassino Off 2017.
Nello spettacolo Giuliana Musso incarna tre voci, tre madri che hanno perso il figlio, militare italiano, durante la guerra in Afghanistan. Via via che ci parla i sacchi neri fanno pensare alle salme di un disastro. Riportati in primo piano lo spettatore si accorge che no, racchiudono strumenti musicali, e l’emozione è forte quando l’attrice li apre ed estrae un contrabbasso e un violoncello, li sistema uno accanto all’altro. Le vittime sono strumenti nel senso peggiore: destinate a essere utilizzate, a soccombere. Ma strumenti anche nel senso più bello: ognuna a suo modo contiene una voce, espande bellezza.
Le tre donne raccontano a modo loro ciò che è successo, e il prima, e il dopo. La relazione col figlio bambino e poi ragazzo, l’amore per la vita, e poi il lutto, il modo singolare con cui ciascuna si mette in relazione con la mancanza. Avvicinano una guerra lontana, la contraddicono rendendo tangibile il dolore.
In diverse interviste è stato chiesto a Giuliana Musso quale sia per lei l’antidoto alla guerra e la risposta è stata immediata: l’intelligenza. In una intervista, ad esempio:
“La mia speranza è che alla fine di questa serata, di questa esperienza, qualcuno se ne possa andare a casa con l’idea che, proprio perché parlano delle madri, piangenti, addolorate, l’intelligenza empatica, l’intelligenza dei sentimenti, è l’intelligenza vera. Se non ripartiamo da lì tutto è follia. E quindi l’antidoto alla guerra, alla violenza di sistema, non è l’amore. È l’intelligenza”.
“Sul discorso della guerra io non ho inventato niente. Quello che cerco di dire io, lo dicono tutti gli esseri umani, da sempre. Nessuno vuole la guerra. Lo dico al pubblico: mi sembra che qua dentro nessuno vuole la guerra. Faccio proprio un’interpellanza, glielo chiedo: ‘Ma noi cosa siamo? Perché dovrei essere arrabbiata con lo Stato, perché lo Stato fa una guerra nella quale mio figlio muore?’. È ovviamente una domanda provocatoria. Lo Stato sono io. Lo Stato siamo noi. Cosa stiamo facendo noi? È un continuo interrogarsi che non sto inventando io. Sto solo cercando un altro modo per dirlo, per rimettere al centro la realtà del vivente, e dire: a me sembra che il re sia nudo. A me sembra che queste guerre siano generate da un’imbecillità totale. Le menti più imbecilli del mondo sono quelle che generano questo tipo di politiche. Sto solo dicendo questo. Perché, che intelligenza ci vuole per dire: ‘Siccome io sono più forte di te e ti ammazzo, ho ragione’? A me sembra che non ci voglia nessuna intelligenza”.
Visitando il sito dell’attrice scopriamo altri suoi lavori. Tra questi un laboratorio, “La base”, condotto a San Donà di Piave tra novembre 2010 e maggio 2011. In totale 23 lezioni di almeno 5 ore ciascuna sulla base Dal Molin in costruzione, con compiti di ricerca specifici assegnati a ciascun partecipante e sviluppati attraverso interviste, osservazioni, presenza diretta.
Così si sviluppa la sua ricerca teatrale, anche nella costruzione degli spettacoli: la scelta di un tema e il rigore della ricerca prima delle scelte drammaturgiche, registiche, attorali. Se poi è sola in scena lo spettacolo si rinnova a ogni replica nell’improvvisazione, “tanto”, ironizza, “il testo è mio, me la vedo io con la drammaturga”.
Il campo è quello del teatro civile, che lei ama chiamare anche “teatro del vivente”.
“Civile è un teatro che si mette a disposizione di un contenuto”, scrive nei suoi appunti. “La difficoltà compositiva sta tutta lì: nell’urgenza di coniugare i contenuti del reale con poesia, pathos, comicità, divertimento, ritmo, musica, gesto, ecc. ecc. Forse per questi motivi il teatro civile non è molto amato dai professionisti del teatro tanto quanto lo è dal pubblico civile. Eppure in Italia esiste una piccola comunità di artisti che resiste spontaneamente alla seduzione dell’autoreferenzialità e si arrende con gioia a un teatro che ama osservare più di quanto ami farsi osservare”.
E parlando di “Mio eroe”, così diverso da altri suoi testi molto godibili e comici: “È difficile questo spettacolo. Secondo me se non ti spelli viva non stai in piedi”.