• 23 Dicembre 2024 21:02

Quale crisi, quale democrazia

DiDaniele Lugli

Dic 20, 2021

Joe Biden ha tenuto il Summit delle Democrazie via web. 110 i paesi invitati. Secondo il Democracy Index di The Economist (Indicatore di Democrazia) i paesi con democrazia perfetta sono 22 (il 5,7% della popolazione mondiale); aggiungendo quelli che raggiungono la sufficienza sono una settantina. Non è un indice troppo esigente: l’Italia ha 7,74, otto meno si sarebbe detto ai miei tempi. In anni scorsi ha sfiorato l’otto pieno: 7,98. Secondo il rapporto 2021 di Freedom House (qui l’Italia ha un punteggio di 90 su 100) 77 Paesi invitati sono democratici, gli altri tra il poco e il per niente. Biden lo sa: “Le democrazie non sono tutte uguali. Non siamo d’accordo su tutto, noi tutti presenti a questo incontro di oggi. Ma le scelte che faremo insieme definiranno, a mio avviso, il corso del nostro futuro condiviso per le generazioni a venire”. Si è ammessi al summit, a prescindere dal regime, per l’atteggiamento nei confronti dei Paesi nemici, Cina e Russia in primo luogo. Così sono ammessi Paesi lontanissimi dalla sufficienza e contrassegnati come autoritari. Così l’Ungheria non è invitata e la Polonia sì, pur essendo entrambi Paesi democratici, con licenza parlando.

“Ho pensato a questo incontro per molto tempo per un motivo semplice: di fronte a sfide sostanziali e allarmanti alla democrazia e ai diritti umani universali, in tutto il mondo la democrazia ha bisogno di leader che la supportino”. La democrazia è un’azione, non uno stato, di fronte a sfide preoccupanti. Occorre rinnovare e rafforzare le istituzioni democratiche. Per farlo si combatte la corruzione, si difendono la libertà dei media e i diritti umani. Si agisce contro gli autoritarismi.

Restare fermi non è un’opzione. Freedom House riporta che il 2020 è stato il quindicesimo anno consecutivo di diminuzione della libertà a livello globale. È dovuto alle pressioni dei regimi autocratici, che espandono influenza in tutto il mondo, giustificando repressioni come efficienza. Alimentano nel mondo la diffidenza verso i governi democratici, incapaci di soddisfare i bisogni dei cittadini. Questo più o meno sostiene Biden.

Anche la Cina promuove un incontro virtuale: “International Democracy Forum” contro il “World Democracy Summit” americano. I frutti sono un libro bianco, “Cina: la democrazia che funziona”, il pamphlet “Lo stato della democrazia negli Stati Uniti” e la congiunta dichiarazione russo cinese, che qualifica il summit di impostazione statunitense come antidemocratica espressione di una mentalità da guerra fredda. Dall’altra parte, l’informazione indipendente è fondamentale per la democrazia – sottolinea Biden – da ciò un piano di 424,4 milioni di dollari per la trasparenza e la responsabilità di chi governa.

Il nostro Presidente del Consiglio ha risposto per l’Italia, e un po’ pure per l’UE, sottolineando la buona prova nel fare fronte alla pandemia, una sfida alle democrazie. Si sono bilanciate libertà individuali e misure di sicurezza, si è garantita prosperità pur in un momento di forte recessione. La pandemia induce ad affrontare disuguaglianze di vecchia data, migliorare la sostenibilità, favorire l’innovazione. Si risponde ai bisogni dei cittadini, nella difesa dei valori universali. Occorre rafforzare e tutelare i diritti umani, soprattutto a favore dei più vulnerabili, favorendo ulteriormente l’uguaglianza di genere e l’inclusione sociale, combattendo tutte le forme di intolleranza e discriminazione, comprese quelle fondate sull’orientamento sessuale. Con le riforme in corso dimostriamo la capacità delle democrazie di pianificare in anticipo, di agire rapidamente, di apportare significativi cambiamenti. La mia capacità di osservazione è scadente. Mi sembrano intenzioni più che realtà in atto. Di questo virtuoso processo non mi sono molto accorto.

Da dove vengono dunque le minacce alla democrazia. Da fuori, dai regimi autoritari e dal loro attacco prevalentemente. C’è il riconoscimento dei difetti delle democrazie, che vanno difese rinnovandole. Perché l’attacco viene anche dall’interno. Biden è presidente per un golpe sventato.

Tendenze autoritarie sono evidenti nei paesi europei. Giuliano Pontara, amico della nonviolenza (e mio), che pure misura le parole per scelta e abito professionale, da anni scrive di tendenze naziste riassumibili in queste concezioni: Mondo, teatro di una spietata lotta per la supremazia, Diritto assoluto del più forte, Politica libera da ogni vincolo morale Suprematismo, Disprezzo per il debole, Violenza glorificata, Obbedienza assoluta, Dogmatismo fanatico. Ma le nostre democrazie costituzionali sono erose anche più dall’interno dall’affermarsi dell’ideologia e dalla forza del neoliberalismo. La prevalenza del privato sul pubblico, la centralità del mercato sono decisive. Il mercato attribuisce il giusto valore e cose e persone, a principi e valori. Tutto è oggetto di negoziazione. L’Uguaglianza consiste nel fatto che al mercato tutti possono partecipare, La Libertà nella scelta che ciascuno esercita secondo le proprie possibilità. Diseguaglianze anche abissali fanno bene al mercato. Al più un occhio di riguardo può esserci per i più vulnerabili, secondo la sensibilità che ci è data. La Fraternità suppongo sia oggi questo. Il diritto, i diritti – umani, politici, civili, sociali – sono ridotti e riplasmati.

Faccio una sola osservazione. Non si parla di guerra, come se la cosa non avesse a che fare con la democrazia. Come se la guerra non ne fosse la negazione e assieme la negazione del diritto e dei diritti. “Meno spese militari, collaboriamo per evitare guerre” è l’appello rivolto ai Paesi, a partire dalle residue democrazie. Lo chiedono cinquanta premi Nobel: un grande «dividendo globale per la pace» per affrontare i gravi problemi dell’umanità: pandemie, riscaldamento globale, povertà estrema. Biden cita due volte l’amico John Lewis, ispirato a Gandhi e Mandela, e il suo detto in punto di morte: “La democrazia non è uno stato, è un atto”. Un atto di pace avrebbe dovuto aggiungere, come l’intende Lewis, uno dei Big Six della Marcia su Washington, militante di War Resisters’ International. È persuaso perciò che “La guerra è il più grande crimine contro l’umanità. Sono quindi deciso a non supportare qualsiasi tipo di guerra, e ad adoperarmi per la rimozione di tutte le cause di guerra”.

Lo vedo a Roma, nell’aprile del ’66, per la triennale della WRI, allora per me è solo uno studente nero del comitato nonviolento americano. Capitini ci dice che “Il rifiuto della guerra è la condizione preliminare per un nuovo orientamento. Dice pure: “Nella società di oggi c’è un continuo conflitto fra l’uguaglianza di diritto per tutti e le differenze di fatto; ma l’uguaglianza procede sempre”. Vorrei avere il suo ottimismo.

 

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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