Abbiamo appreso molte cose della sua vita esemplare, del suo impegno civile. Studente alle medie di Fiumicello, un paese di 5 mila abitanti in provincia di Udine, è Sindaco dei ragazzi. Al Liceo di Trieste vince una borsa di studio, che lo porta, per gli ultimi tre anni, in New Mexico (USA) nel Collegio del Mondo Unito. L’Università è in Inghilterra, laurea a Oxford, quindi Cambridge per il dottorato: la ricerca per la tesi si svolge in Egitto. Conosce lo spagnolo e l’inglese e l’arabo, che continua a studiare.
Molti hanno responsabilità nella sua morte. Leggerezza si rileva nei docenti della Facoltà nell’affidargli un compito pericoloso nelle condizioni del paese. Il sindacalista, il cui operare rientra nella ricerca, e l’amica egiziana, collega a Cambridge, e forse anche altri lo segnalano alla polizia. Poi ci sono quelli che lo torturano, uccidono e abbandonano il corpo. I generali al potere, si pensa, debbono sapere chi è stato, ma non lo dicono. Per fare pressione l’Italia ritira l’ambasciatore. Per farne di più lo rimette. Il suo avvocato egiziano pensa di andare a Ginevra a parlare di diritti umani e viene sequestrato. Si insiste per conoscere la verità. Un comboniano, sconvolto forse dalla morte di suoi compagni di missione, dice che è una pretesa assurda e che Regeni se l’è cercata.
Leggiamo da una “memoria confidenziale” del Ministro degli Esteri: “In conclusione è dimostrato luminosamente che l’inchiesta egiziana, iniziata in forma non regolare, affidata ad elementi non tutti scevri da ogni dubbio di parzialità, munita di istruzioni deficienti e non adeguata alle circostanze, condotta con procedimento essenzialmente difettoso ed imperfetto, non può in alcuna guisa avere fornito conclusioni alle quali il governo italiano possa acconciarsi”. Perciò il Ministro, “l’11 settembre avanza all’Egitto formale richiesta per una seconda inchiesta, sottolineando tutte le irregolarità della prima”. Ma la data è 11 settembre 1881 e il Ministro si chiama Pasquale Stanislao Mancini, non Angelino Alfano.
Si sa dell’uccisione nel maggio di Giuseppe Maria Giulietti, con il sottotenente di vascello Giuseppe Biglieri, dieci marinai della Ettore Fieramosca, due operai italiani, due etiopi e un interprete sudanese. Le spoglie dei diciassette sono rintracciate solo nel 1929. La zona del massacro si ritiene in una zona sotto la giurisdizione dell’Egitto. Le ultime notizie della spedizione la danno a Beilul, a poche decine di chilometri dalla partenza da Assab (primo punto della costa africana occupato dall’Italia). La commissione di inchiesta, presieduta da Ibrahim Rusdhì pascià, non accerta alcuna responsabilità. La colpa deve essere di una qualche tribù dell’interno sottratta all’autorità egiziana. C’è una seconda inchiesta che si conclude il 10 maggio 1982 con l’arresto dello sceicco di Beilul, Akito, di suo figlio Omar e di due personaggi minori. Il processo è due anni dopo al Cairo, primavera del 1884. Due degli indiziati sono morti, uno è scomparso, il solo processato è assolto.
Non sappiamo se dall’Egitto avremo una risposta più convincente di quella avuta per Giulietti e gli altri sul finire dell’Ottocento. Ne dubitiamo. Sappiamo che ci manca un giovane straordinario per intelligenza, impegno e passione e ne abbiamo un infinito bisogno.
vigne di Mauro Biani