• 21 Novembre 2024 18:57

Quando l’obiezione di coscienza non fu più un’esclusiva del GAN

DiDaniele Lugli

Ott 23, 2023

Rievocando l’esperienza del GAN, il Gruppo di Azione Nonviolenta coordinato da Pietro Pinna dal 1963 per suscitare anche in Italia un dibattito sull’obiezione di coscienza, Daniele Lugli indica un’accelerazione. Dopo le manifestazioni in solitaria nelle principali città italiane, dopo l’evento di Milano che portò a processo i componenti del GAN, i media cominciarono a occuparsi dell’obiezione di coscienza e la questione ebbe una risonanza in ambienti religiosi e politici. Si era ormai alla metà degli anni Sessanta.

Gli atteggiamenti erano nel frattempo un poco cambiati. Anche all’interno della chiesa cattolica c’era chi cominciava a guardare con favore all’obiezione di coscienza. Quella di don Milani è una storia che sarà due o tre anni dopo però, per esempio, avrei dovuto incontrarlo al processo contro Giuseppe Fabbrini, che obiettò proprio in quanto cattolico praticante. Lo fece quand’era praticamente al termine del servizio militare, perché fosse evidente che non stava cercando un modo per sottrarsi, per imboscarsi con qualche scusa. Un’obiezione abbastanza simile, la sua, a quella del mio amico Enzo Bellettato, che faceva parte del Gan.

Quando ci fu il processo a Fabbrini, che era ben conosciuto negli ambienti cattolici, doveva esserci un convergere di pacifisti sia di area cattolica che no, quindi padre Balducci e don Milani da una parte, Capitini, Pinna e io (ride) dall’altra. Il processo venne rinviato e saltò questo incontro, che sarebbe stato più militante.

Ai processi andavate?

Sì, sì. Io sono andato a uno solo, quello di Milano, perché avevo qualche piccola responsabilità. Avevo preparato anche una memoria in cui spiegavo che non era una manifestazione, la nostra, non era una riunione in luogo pubblico. Era una pura espressione di pensiero, quindi anche sotto questo profilo dovevano assolverci.

La cosa simpatica fu quando insistemmo in questura sul fatto che non ci si potevano vietare le manifestazioni per turbamento dell’ordine pubblico! Era una cosa ridicola, ormai c’erano già delle sentenze che ci davano ragione, quindi perché continuavano… E allora la risposta fu che vabbè, noi turbavamo l’ordine pubblico delle coscienze. Meraviglioso. Facemmo un volantino, so che l’ho scritto io con la supervisione di Pinna (eravamo molto rigorosi sul materiale che doveva andare fuori, lo guardavamo bene), dove dicevo che è doveroso turbare l’ordine delle coscienze, perché se le coscienze non sono continuamente turbate, marciscono.

E voi vi davate da fare per tenerle sveglie.

Mi ricordo un cartellone mio, era molto semplice. C’erano i segni dell’addizione, della sottrazione… e c’era scritto: + libri – manganelli x la polizia. Avevamo un gran cartello… Lo guardavano male ma, non ce l’hanno sequestrato. Non è che facessimo delle grandi provocazioni, ma insomma in quel momento, visto che si facevano dei processi…

Parlavi di un avvicinamento del mondo cattolico.

Sì, cominciano a muoversi delle cose. Padre Vivarelli, grande predicatore che appare in televisione, dice: “Mah, bisognerebbe guardare con attenzione all’obiezione di coscienza”; viene immediatamente sospeso dalla trasmissione e inviato nel posto più sperduto della campagna ferrarese, a Corna Cervina, insieme a un confratello che si presentava con il nome di Fra’ Diavolo. Questo Vivarelli era una persona straordinaria, compagno e amico di Davide Turoldo, che ho conosciuto bene, e aveva preso posizione. Padre Ernesto Balducci lo stesso. Più avanti ci sarà anche don Milani… e anche qui, una piccola responsabilità del Gan c’è.

Spiegati meglio.

Facciamo una manifestazione a Firenze e proprio quel giorno – noi non lo sapevamo neanche – i cappellani militari sono riuniti in un loro convegno. Il fatto che ci sia a Firenze una manifestazione per l’obiezione di coscienza li offende terribilmente, quindi scrivono un loro comunicato in cui affermano che l’obiezione di coscienza non ha niente a che vedere con il messaggio evangelico, anzi è la forma più estrema di viltà. Questo fa scattare l’indignazione di don Milani, che con i ragazzi di Barbiana scrive la sua “Lettera ai cappellani militari” in cui dice: “Mah, voi fate un mestiere che io e i miei ragazzi non capiamo, comunque possiamo parlarne, però non capisco perché diciate queste cose a delle persone che con sacrificio attestano il loro impegno”. Da lì poi il processo a don Milani, quindi noi riproduciamo la Lettera dicendo: “Allora incriminate anche noi”, ma insomma… Me non mi incriminarono…

Don Milani era favorevole all’obiezione di coscienza?

Con la “Lettera ai cappellani militari” si esprime nettamente a favore e le sue parole lasciano il segno, sono tuttora un riferimento limpido anche se, don Milani, non consigliava l’obiezione di coscienza ai suoi ragazzi. Però, come dire, mostrava apprezzamento per la nonviolenza. Ricordo, nella “Lettera a una professoressa”, un passaggio in cui cita “Gandhi” e in nota, sotto: un santo indiano. Con Capitini poi don Milani si incontrò più volte, fecero anche qualcosina assieme.

I processi andarono tutti bene.

Sì, sempre assolti. L’ultima manifestazione, direi, a Roma… (ride) la formula fu quasi spassosa. Cioè, la comunicazione della questura fu questa: “la manifestazione è vietata, ma viene tollerata”. Diversamente dal solito han deciso di non interromperci. Credo fossimo nel 1965 o 1966.

E da lì alla legge del ’72?

Ci sono state altre cose. Una serie di camminate anche lunghe, di più giorni, le marce antimilitariste che non erano solo del MN. Noi portavamo una modalità.

Allora c’era Lotta Continua con i suoi proletari in divisa, c’erano le formazioni della sinistra extraparlamentare prima del Sessantotto. In questi raduni, quello che portavamo noi era un certo rigore nei comportamenti, nei cartelli, cioè dire: “Sì, noi veniam volentieri, però a condizione che. Non si offendono le persone, si tiene la propria posizione…” e, in questo modo, anche nelle marce sono state evitate provocazioni più gravi che non sono mancate. Non sono mancate.

L’intervista è stata raccolta da Elena Buccoliero il 15 febbraio 2020. Sui rapporti con don Lorenzo Milani in particolare, un testo più ampio è pubblicato nel numero 4/2023 della rivista Azione nonviolenta.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948