Questo Natale, nel quale alla guerra nel cuore d’Europa si è aggiunto il massacro infinito dei palestinesi nei luoghi in cui nacque e visse, secondo le Sacre scritture, il Gesù fondatore del cristianesimo e promotore della nonviolenza evangelica, è celebrato nella città di Modena con l’istallazione “artistica” di un “carro a(r)mato”, guidato da un babbo natale, nella centralissima piazza XX settembre. Un’opera dell’artista Lorenzo Lunati, a dimensione reale, quanto meno controversa come dichiarato “messaggio di pace”, in un momento nel quale veri carri armati uccidono nei troppi conflitti armati in corso sul pianeta.
Non sono mancate le proteste, tra le quali quella del Movimento Nonviolento modenese: “Può darsi che siamo troppo schizzinosi, perché in fondo si tratta di un carro armato, anzi amato (ma amato da chi?) con intenti pacifici, che issa una bandiera con scritto pace, ma ci chiediamo se un carro armato, per sua natura, possa essere un mezzo pacifico e portatore di pace. A noi sembra che sia sempre e solo un sofisticato strumento costruito per distruggere e ammazzare, come le bombe, i missili, i cannoni, le armi di ogni tipo: mezzi creati per uccidere, ferire, mutilare”.
In effetti i carri armati fecero la loro comparsa sui campi di battaglia nel corso della “grande guerra”, chiamata così proprio per l’enormità di morti rispetto alla guerre precedenti. I tanks furono usati per la prima volta dai britannici il 15 settembre 1916 contro le trincee tedesche nella lunga e tremenda “battaglia della Somme” nel fronte occidentale, che si concluse con oltre un milione di vittime tra le due parti per un piccolo spostamento del fronte. Una follia. Eppure nel Natale del 1914 (ed in misura minore in quello del 1915) in quella guerra non tutti avevano perso il lume della ragione. Per esempio non lo avevano perso quei soldati britannici, francesi e tedeschi che, stanchi di marcire da mesi nelle trincee scavate nelle Fiandre, mandati a morire e a uccidere ragazzi con lo “stesso identico umore ma la divisa di un altro colore”, come cantava Fabrizio De Andrè, sospesero le ostilità, imposero una tregua di fatto e festeggiarono la comune umanità e cristianità con il nemico della trincea opposta, compiendo un grave atto di insubordinazione.
Che cosa accadde quella notte è raccontato nelle molte lettere provenienti dal fronte, delle quali si trova ampio resoconto nel volume di Michael Jürgs La piccola pace nella Grande guerra (2011). In una lettera datata 28 dicembre 1914 il soldato Josef Wenzl, del sedicesimo reggimento di fanteria di riserva bavarese, usò queste parole per raccontare ai genitori gli avvenimenti straordinari accaduti tra la notte e il giorno di Natale: “Quello che vi racconto oggi sembra quasi incredibile, ma è la pura verità. Aveva appena iniziato a fare giorno quando sono comparsi gli inglesi facendo chiari cenni ai quali i nostri uomini hanno risposto. A poco a poco quelli sono usciti tutti fuori dalle trincee, i nostri uomini hanno acceso un albero di Natale che si erano portati dietro, lo hanno posato sul terrapieno e hanno iniziato a suonare le campane… Quella che poche ore prima mi sarebbe parsa una follia, ora la potevo vedere con i miei stessi occhi… era qualcosa di commovente: in mezzo alle trincee, i nemici più odiati stavano tutti intorno all’albero di Natale cantando le canzoni di Natale. Non dimenticherò lo spettacolo per il resto della mia vita”.
Josef Wenzl sarà ucciso in battaglia il 6 maggio 1917. Raccontano le cronache che quella mattina di Natale in molti tratti del fronte vennero seppelliti i morti, caduti un assalto dopo l’altro e rimasti insepolti nella terra di nessuno tra le trincee. “Per l’intera giornata del 25 dicembre, lungo il fronte occidentale nelle Fiandre” ricostruisce Jürgs “si sono verificate altrettante scene pazzesche e incontri apparentemente assurdi». Si tratta della “pazzia” del riconoscimento della reciproca e dolorosa condizione umana che si manifestava all’interno della follia disumana della guerra, diventata normalità. I rispettivi comandi reagirono con estrema durezza a questo crimine di “fraternizzazione con il nemico”, sia punendo gli ufficiali responsabili dei rispettivi settori che censurando e falsificando le informazioni che circolavano sulla vicenda. Non volevano infatti che la notizia fosse divulgata e narrata, mettendo in discussione la reciproca propaganda di guerra fondata, allora come oggi, sulla deumanizzazione del nemico da abbattere.
Con l’irrompere sulla scena delle armi di distruzione di massa, come appunto i carri armati, quella tregua natalizia dal basso così estesa e significativa non si ripropose più. Se c’è quindi una storia di Natale da raccontare ancora, proveniente dai campi di battaglia – oggi che trincee insanguinate sono tornate a solcare perfino l’Europa – non riguarda i carri armati, ma il recupero di umanità di coloro che obiettano, disertano, ripudiano la guerra e gettano ponti di pace verso il nemico. Fraternizzando con esso, disobbedendo ai rispettivi comandi.