Fermare la violenza e i richiami alla guerra in Libia è possibile, senza più ripetere gli errori del passato, perché esiste un’altra strada. Fermare la violenza è possibilecostruendo una politica fondata sul rispetto dei diritti umani, dell’autodeterminazione dei popoli, del diritto internazionale, dello sviluppo sostenibile e della giustizia sociale.
E’ questo il nocciolo della presa di posizione congiunta che le reti di organizzazioni per la Pace, i diritti umani, la nonviolenza e gli interventi civili di pace hanno diffusooggi, nei giorni in cui i venti di guerra tornano a spirare in maniera forte nella sponda sud del Mediterraneo ed alle porte Est dell’Europa.
Secondo Rete della Pace, Campagna Sbilanciamoci e Rete Italiana per il Disarmo: “E’ questa la strada per raggiungere la Pace, proprio perché è la Pace ad esserel’unica strada”.
Rete della Pace, Campagna Sbilanciamoci e Rete Italiana per il Disarmo chiedono con forza che il nostro Governo si assuma la responsabilità di promuovere una soluzione reale del conflitto in Libia. Un’uscita dall’anarchia armata attuale a partire da idee di Pace, di intervento nonviolento e di ricostruzione sociale che coinvolga lepopolazioni per mettere in campo tutte le forze ed energie di diplomazia e di confronto verso scelte coraggiose che possano davvero spegnere l’incendio di odio eprevaricazione che sta minacciando il mondo. Tra i primi passi importanti da realizzare immediatamente il blocco dei flussi finanziari e delle forniture di armamenti che sostengono ISIS e le milizie delle varie fazioni negli scontri di queste settimane
Le organizzazioni del mondo della Pace e del disarmo ricordano inoltre che è in corso la campagna “Un’altra Difesa è possibile”, che chiede la realizzazione di struttureistituzionali che possano intervenire nei conflitti per prevenirli e renderli meno cruenti. Costruiamo insieme questa strada di Pace.
Di seguito il testo congiunto diffuso da Rete della Pace, Campagna Sbilanciamoci e Rete Italiana per il Disarmo
Fermatevi, la guerra non è la soluzione. Esistono altre strade.
Il caos libico non accetta scorciatoie, semplificazioni e improvvisazione. L’intervento armato non può che aggravare la situazione.
Fermare la violenza in Libia, contrastare le milizie affiliate ad ISIS e tutti i gruppi armati è possibile senza più ripetere gli errori del passato, senza gettare ulteriore benzina sull’incendio.
L’intervento del 2011 dimostra pienamente in questi giorni tutto il proprio fallimento. La situazione è drammatica in tutta la regione del medio Oriente e dell’Africa Sub Sahariana, non solamente in Libia, e occorre agire con urgenza per mettere in sicurezza vite umane, per fermare le azioni criminali e terroriste, per ricomporre e riconciliare le diverse comunità etniche e religiose dell’intera regione. Questo l’obiettivo, la cui realizzazione dipende fortemente dal “modo” in cui si cercherà di metterlo in pratica: fondamentale per non produrre ulteriori vittime e caos.
Noi riteniamo che sia necessario dispiegare una molteplicità di azioni, tra le quali:
- Chiedere ai Ministri degli Affari Esteri dei paesi europei di presentare richiesta presso la Corte Penale Internazionale dell’Aia di avviare un processo nei confronti di Abu Backr Al-Baghdadi: sia chiamato a giudizio come responsabile del sedicente «Stato Islamico» insieme agli esecutori e finanziatori dei crimini di genocidio, contro l’umanità e di guerra, così come previsto nello Statuto della stessa Corte.
- Sostenere la ricostruzione dell’assetto statuale libico, con tutte le forze della diplomazia e della politica, a partire dall’iniziativa dell’Onu per un accordo tra le parti: solo un’azione internazionale sotto egida Onu, costruita con il pieno coinvolgimento dei rappresentanti delle comunità locali e della società civile, potrà raggiungere un accordo che freni gli scontri tra gruppi armati.
- La comunità internazionale, sotto guida ONU e con l’impegno e la cooperazione della Lega araba e dell’Organizzazione degli stati africani, deve farsi garante e protettrice di un futuro accordo di pace, anche al fine di mettere alle strette Qatar, Arabia Saudita ed altri paesi della regione che – in maniera ipocrita – sono responsabili nel sostegno e nella propagazione delle guerre in corso
- L’Unione Europea può inviare personale civile nelle zone più sicure per sostenere il protagonismo della società civile, delle comunità religiose e delle donne nella costruzione di un processo di pace, tutelando i difensori dei diritti umani e gli operatori di pace locale che più si espongono in questo momento. Questa sarà la missione dei futuri Corpi Civili di Pace.
- Bloccare le fonti di finanziamento del terrorismo, la vendita delle armi e di petrolio, le complicità con i diversi gruppi di miliziani armati che imperversano nella regione. Un modo per non diventare complici in un conflitto che ci vede già molto responsabili, e per non essere “imprenditori di morte pronti a fornire armi a tutti” come ha ricordato oggi lo stesso Papa Francesco.
L’Unione Europea e i suoi stati membri devono fare la propria parte, garantendo assistenza umanitaria a profughi e migranti e cooperando con i paesi della regione che se ne stanno facendo carico, per mettere in campo un’operazione di salvataggio in mare e di accoglienza dei profughi e migranti.
Abbiamo bisogno di una politica ed un impegno internazionale che dichiarino finita la stagione degli errori armati e degli interessi di parte riportando al centro l’interesse generale della comunità globale per la Pace, la libertà e per l’accesso ai diritti universali per tutte e per tutti.
(immagine tratta da www.lookoutnews.it)