E così il primo febbraio se n’è andato Nanni Salio, fondatore e presidente del Centro Studi Sereno Regis di Torino, nonché insostituibile punto di riferimento delle persone di buona volontà impegnate per la pace e la nonviolenza.
Qualche ricordo personale
Avevo poco più di vent’anni quando conobbi Nanni, nella comunità carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto, dove partecipavo al mio primo corso di formazione alla nonviolenza da “aspirante” obiettore di coscienza presso la Caritas di Messina, con questo “fisico nonviolento” venuto da Torino. Da allora in avanti, la lucidità della sua analisi – che già nel 1991 parlava, al plurale, de “Le guerre del Golfo” (EGA) – e la generosità del suo impegno, hanno fatto sì che diventasse anche per me un preciso riferimento culturale e politico. Alcuni anni dopo, eletto nel Coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento – di cui lui era da tempo una delle guide “scientifiche” – organizzammo insieme due seminari sul tema “Economia e Nonviolenza” (nel 1998 a Desenzano del Garda, nel 1999 all’Impruneta di Firenze): per il Movimento Nonviolento furono alla base dell’impegno decennale nella Rete Lilliput per un’economia di giustizia, per Nanni probabilmente anche il pretesto per buttare giù “Elementi di economia nonviolenta” (Quaderno di “Azione nonviolenta”, 2001). Molte volte, inoltre, l’avevo invitato a Reggio Emilia – dove vivo – per condurre momenti di formazione alla teoria ed alla pratica della nonviolenza (di particolare rilevanza il Seminario di studio sui “Modelli di sviluppo e sviluppo delle guerre” svolto a Salvarano di Quattro Castella, tra il 30 settembre e il primo ottobre del 2000), fino a coinvolgerlo – insieme all’Amministrazione Comunale – nel percorso di accompagnamento alla costituzione della Scuola di Pace di Reggio Emilia. L’ultima volta l’ho incontrato giusto il primo febbraio di due anni fa, al Congresso del Movimento Nonviolento, ospitato a Torino nel “suo” Centro Studi Sereno Regis. Le sue parole furono volte a indicare quel che c’è ancora da fare, anziché a celebrare quanto già fatto. Come sempre guardava avanti e invitava tutti a fare altrettanto.
Il movimento per la pace è un movimento che non c’è. Ancora
Chiamato a parlare in giro per l’Italia in tantissime grandi e piccole inziative – viaggiando, senza risparmiarsi, zaino in spalla, sui treni di notte per essere puntuale agli incontri del giorno dopo – Nanni Salio introduceva i suoi interventi dicendo provocatoriamente, ma non troppo, che “il movimento per la pace è un movimento che non c’è”. Troviamo esplicitato questo pensiero – oltre che in numerosi articoli – nel suo testo più completo “Il potere della nonviolenza” (EGA, 1995): non si può chiamare “movimento per la pace” un insieme di occasionali – e sempre inefficaci – manifestazioni contro la guerra convocate all’ultimo momento, quando i cacciabombardieri sono già in volo. Ciò che manca è “una struttura organizzata e permanente, con un suo preciso programma di azione politica proiettato nel tempo, non soltanto contingente e genericamente contrario alla guerra, ma costruttivo, che si basa su un’ampia riflessione teorica e culturale”. Ricerca, educazione e azione sono per Nanni Salio i filoni fondamentali – e strettamente interconnessi – lungo i quali deve svilupparsi l’impegno per la pace, e sui quali ha impostato il lavoro del Centro Studi Sereno Regis (che oggi, non a caso, contiene la più grande biblioteca tematica italiana).
Andare alle radici, culturali e scientifiche, dei modelli di difesa e di sviluppo
Per anni ricercatore di fisica all’università di Torino, Salio è stato in realtà per tutta la vita un ricercatore di nonviolenza, venendo presto in contatto e stabilendo una proficua e duratura collaborazione con Johan Galtung, uno dei padri della peace research internazionale e fondatore del metodo e della reteTranscend per la risoluzione dei conflitti con mezzi pacifici. Nanni Salio, che ne era il punto di riferimento italiano, ha fatto tradurre le più importanti opere di Galtung, contribuendo così ad introdurre, anche nell’approccio della nonviolenza italiana, una innovazione fondamentale: la consapevolezza di dover costruire le alternative – contemporaneamente – alla violenza culturale, strutturale e diretta. “Se vogliamo realmente estirpare la guerra dalla storia umana” – scriveva in un pezzo pubblicato recentemente su il manifesto – “dobbiamo andare alle radici, culturali e teoriche, dei modelli di difesa e di sviluppo che stanno a monte dell’intera catena di comando della macchina da guerra. Le dottrine del falso realismo che vengono insegnate nelle accademie sia civili, le università, sia militari, le scuole di guerra, sono inadeguate e continuano a provocare il sacrificio incessante di vite umane con la violenza diretta della guerra e con quella strutturale dei modelli di sviluppo, delle spese militari, delle priorità che ignorano i bisogni fondamentali delle popolazioni”. Per questo Salio ha continuato per tutta la vita ad animare iniziative e impegni per il disarmo e la riconversione ecologica dell’economia; per la ricerca, la formazione e l’educazione alla pace ed alla trasformazione nonviolenta dei conflitti, nelle dimensioni micro, meso e macro; per la promozione dell’arte per la pace e il sostegno alle azioni dirette nonviolente e di disobbedienza civile in giro per il mondo, che lo portarono tra l’altro anche ad affrontare un pellegrinaggio a Kailash, la montagna sacra del Tibet.
Un decalogo contro i due terrorismi, patologia mortale dell’umanità
Anche di fronte ai “due terrorismi” – quello degli Stati, che viene chiamato guerra, e quello degli insorti – che si alimentano reciprocamente, di cui parla nell’ultimo scritto pubblicato su Azione nonviolenta, dopo gli attentati di Parigi dello scorso novembre, Nanni Salio ricorda che la via di uscita sta nel lavorare, con lungimiranza, a progetti di medio e lungo periodo, proponendone un decalogo (che riproponiamo in sintesi):
“1 Costituire e addestrare Corpi Civili di Pace con compiti di mediazione, interposizione e prevenzione.
2 Riconvertire le industrie belliche e l’intero complesso militare-industriale in industrie civili e centri di ricerca per la pace e la sperimentazione di tecniche di risoluzione nonviolenta dei conflitti.
3 Promuovere percorsi di educazione alla pace e alla nonviolenza sia nel mondo della scuola sia nella società in generale.
4 Riconversione ecologica e intellettuale dell’economia mondiale verso forme di economia gandhiana nonviolenta ispirate al paradigma della semplicità volontaria.
5 Utilizzare al meglio le attuali capacità di comunicazione su scala globale per costruire un “giornalismo di pace” alternativo al “giornalismo di guerra”.
6 Dialogo tra le religioni per riscoprire il comune fondamento basato sulla nonviolenza. Far conoscere in particolare le componenti più coerentemente nonviolente presenti in ciascuna religione.
7 La cultura scientifica e la tecnoscienza svolgono una funzione cruciale nei processi evolutivi dell’umanità, ma occorre orientarle anch’esse verso la cultura della nonviolenza.
8 La cultura artistica, in tutte le sue principali manifestazioni, può e deve essere orientata verso lo sviluppo di una creatività che favorisca la ricerca di soluzioni nonviolente ai conflitti umani.
9 Affrontare la grave crisi delle democrazie rappresentative e partitiche occidentali. Promuovere la partecipazione attiva e diffusa e l’autogoverno della cittadinanza.
10 Considerare i due terrorismi come una malattia mentale, una patologia mortale dell’umanità”
Diventare liberi di sperimentare la nonviolenza
Ricostruire integralmente la biografia culturale e politica di Nanni – uno dei maestri della nonviolenza italiana – è dunque un compito che richiederà molto tempo. Personalmente, tra i molti ricordi, mi rimane anche quello di un Seminario a Bologna con Johan Galtung di una decina di anni fa, nel quale il grande sociologo e matematico norvegese citava Salio, dandone per scontata la conoscenza da parte di tutti i presenti e, ad una partecipante che chiedeva chi fosse, rispose con incredulità: “Lei non sa chi è Nanni Salio? E’ un santo e vive a Torino!”. Al movimento per la pace, consegna molti impegni da portare avanti: ricerca, educazione e azione, per sperimentare a tutti i livelli il “Potere della nonviolenza”. Tuttavia, avvverte, “per poter camminare lungo il sottile crinale che separa l’ordine autoritario dal disordine creativo occorre coltivare alcune caratteristiche che ci permettono di essere più liberi: liberi dal pregiudizio, liberi dalla menzogna, liberi dall’attaccamento, liberi dalla violenza, liberi dall’angoscia dell’incertezza, liberi dalla preoccupazione della certezza. Tutto questo per diventare via via più liberi di sperimentare la nonviolenza, al fine di autorealizzarci reciprocamente nella crescita del rapporto tra il sé personale e il Sé transpersonale, come suggeriscono i lavori e le esperienze, tra gli altri, di Arne Naess, di Gandhi, di Thich Nhat Hanh.” E – appunto – di Nanni Salio.