È una storia che conosciamo. Bene ne scrive Emilio Lussu in “Marcia su Roma e dintorni”. È cronaca quotidiana. C’è chi partecipa festevole al cambiamento e chi osserva impietrito. Io tra questi ultimi. Anche se pensavo che a questo saremmo arrivati pure prima. Prevedere e vedere non è la stessa cosa.
Restare fermi, mentre è in corso un generale regresso, è già bene. Principi – proclamati immortali e fondamento dei diritti umani – sono dileggiati e sotto attacco. Demagoghi di successo indirizzano il disagio di persone che vivono nella diseguaglianza estrema – un pugno di famiglie hanno più ricchezze di quante ne mettano assieme tre o quattro miliardi di persone – non verso potenti e prepotenti, ma verso i più poveri e fragili. Così sistemata l’eguaglianza, la libertà è subordinata alla sicurezza o meglio alla produzione di insicurezza – come non bastasse quella con cui quotidianamente ci confrontiamo – per giustificare misure liberticide. Quanto alla fraternità le è dichiarata guerra aperta. Chi la esercita salvando naufraghi è trattato come pirata. Nel ’36 il fascismo si fa Impero, ma ancora, se c’è un uomo in mezzo al mare, il capitano ha il dovere di salvarlo:
Ma stare fermi non basta. Se la vita che ci viene proposta non ci piace, occorre riprendere il cammino verso la vita buona e bella. Con fatica è stato intrapreso da chi ci ha preceduto. Lo dobbiamo a noi e a chi viene dopo di noi. Camminare dunque. Mi stimola una mostra fotografica che l’amico Ulrich inaugura sabato 13 luglio nel centro di fisioterapia “Girasole” di Ferrara. Lo stesso giorno il c.d. capitano è in città per ringraziarla dell’omaggio rivoltogli col voto.
“Ci sono molte concezioni del camminare: come forma di meditazione, come pellegrinaggio, come esercizio fisico … in cui la via diventa la meta”. Il caro compagno di camminate e di impegno ci dice che la mostra “vuole esplorare la dimensione del camminare verso una meta, verso l’esperienza di bellezza, facendo fatica. Facilmente intraprendiamo una escursione in montagna sapendo che alla fine del cammino faticoso – o anche durante – vivremo emozioni che solo la bellezza può suscitare. Molte delle immagini trattano di questo: persone in movimento, spesso consapevoli della bellezza che li circonda, o persone che si sono fermate davanti a panorami travolgenti”. Ecco allora il titolo “Della fatica e della bellezza”. La scelta del luogo non è casuale. È un omaggio a professionisti della riabilitazione, che mettono in grado di riprendere a camminare chi ha perso quella capacità
Anche noi abbiamo chi ci aiuta a riprendere il cammino. Penso ad Alex Langer, grande camminatore – stroncato da quel che vedeva e prevedeva – e al suo invito “Continuate in ciò che era giusto”. Ma non è facile se una strada non c’è e se il sentiero nel quale abbiamo fidato è irrimediabilmente perduto. La direzione però la conosciamo. È l’esatto contrario di quella indicata da sovranisti e primatisti, capaci di una povera identità: “Sangue e Terra” nostri, “Blut und Boden”, un motto caro ai nazisti in ogni tempo. Muoviamo il primo passo. Sappiamo che va mossa la gamba che sta dietro. Se si vuol progredire, cioè andare avanti, è così che si fa. Invece la gamba che sta dietro è vilipesa, pestata, accusata di ritardarci. I seguaci del cambiamento si fanno zoppi irosi, appoggiati alla stampella dell’odio. Lentamente riprendiamo dunque il cammino.
Machado ci ha detto come si fa, quando la traccia non c’è: Caminante, son tus huellas el camino, y nada más; caminante, no hay camino: se hace camino al andar. Al andar se hace camino… Così si è fatto in passato. Ora tocca a noi. E’ il cammino della speranza, non della paura, ci ha detto Ndileka Mandela. Le cose che realizziamo percorrendolo ci confermeranno nella direzione scelta. La speranza è come una strada di campagna, che si forma perché la gente inizia a percorrerla, secondo un bel detto indiano. Il camminare si fa allora pratica quotidiana. “Tra il mattino e la sera sta la strada” dice Chiara, gran camminatrice e generosa fisioterapista.