Chi mi conosce personalmente sa che non mi sento schierata aprioristicamente dalla nostra parte e tra gli aforismi più gustosi di Alì Ne’el Gilud non riesco a evitare “la differenza tra generi è una fissazione delle suocere”, eppure c’è una capacità che a me sembra di osservare maggiormente nell’universo femminile.
Cito alcuni nomi molto noti, personalità forti e diversamente impresse nella mente di tutti noi. Non sembri inappropriato avvicinare la senatrice a vita Liliana Segre, la capitana Carola Rackete, l’attivista politica Elly Schlein, la giornalista Rula Jebreal, la scrittrice Michela Murgia. In campi diversi, tutte attingono alla loro storia personale e la utilizzano come lente per leggere il mondo. E non è una lente sporca, tutt’altro.
In altre epoche si è ritenuto che per capire il mondo si dovesse mettere da parte la propria soggettività. È ormai sufficientemente appurato che non si può conoscere nulla in vitro, quella epurazione è semplicemente impossibile, il ricercatore è sempre presente nel frutto del proprio lavoro. Se è un sociologo o un antropologo, inevitabilmente seleziona alcuni elementi più di altri durante l’osservazione, o interagisce anche solo a livello non verbale con chi risponde alla sua intervista e così lo condiziona. Se è un insegnante, il suo modo di relazionarsi con gli allievi determinerà il loro successo scolastico forse più dei contenuti che sarà in grado di spiegare. Ma perfino nelle scienze esatte è ormai riconosciuto che l’elemento personale o relazionale interviene sulla realtà. Nella meccanica quantistica non è possibile osservare un sistema senza modificarlo e l’osservatore deve essere considerato parte del sistema osservato.
E dunque, nello spazio che c’è tra le altitudini della neutralità iper razionale e il gorgo malevolo di chi insiste sull’emotività per provocare le pulsioni peggiori, stanno ben dritte, con semplicità e fierezza, persone che indossano un ruolo pubblico senza prendere le distanze dalla loro storia privata. Al contrario, l’attraversano consapevolmente e la offrono come garanzia di autenticità. E non per posa: sono fatte così, forse perché ne hanno bisogno, forse perché non saprebbero fare altrimenti.
La violenza sulle donne è un’infamia fin troppo ripetuta ma se a parlarne è una donna come Rula Jebreal, che a San Remo esce da tutti gli schemi perché è bella & pensante & con una storia personale drammatica che non intende ignorare o falsare, il brivido in sala e a casa avrà un sapore differente. Il rifiuto dei migranti è disumano e chiunque può dirlo, ma Carola Rackete, che aveva scelto di salvarli riconoscendo il proprio privilegio personale e prendendo posizione proprio a partire da lì, ha espresso parole con un peso specifico non comune.
Per non dire della straordinaria Liliana Segre, che ci fa conoscere il lager con l’unicità di chi vi è stato rinchiuso nell’infanzia, e capiamo bene che la soggettività non intralcia la conoscenza ma le dà valore. Senza negare per questo l’importanza dello studio, che è poi (su alcuni temi, fortunatamente) la strada possibile per la stragrande maggioranza di noi spettatori, e per tutti una via indispensabile se si vogliono dare ragioni e consistenza alle emozioni. Dico semplicemente che gli stessi contenuti, se sono vivi in chi li offre agli altri, parlano con una voce più limpida.
La consapevolezza di sé non si compra su internet e non si studia a memoria, ed è una forza di cui possiamo dotarci. Non in tanti la raggiungono ma tutti possiamo incamminarci. Non in tanti ci arrivano ma quei pochi li riconosciamo se solo abbiamo occasione di incontrarli, nella vita pubblica come nelle relazioni personali. E anche nella vita pubblica vogliamo comprenderli come per intrecciare una relazione personale. Leggiamo con curiosità buona gli articoli sulla loro storia. Ci piace sapere che Elly Schlein è nata in Svizzera da una coppia mista Italia-Usa, che al Parlamento Europeo e in tutte le sue esperienze politiche ha svolto un ruolo importante ma in un’ottica di servizio più che cercare il proprio potere personale. Ci piace la sua fermezza che è il contrario dell’arroganza montante, la sua umanità che non si sottomette all’ingiustizia e non rinuncia al sorriso.
Similmente è diventata virale, qualche mese fa, la giustapposizione operata da Michela Murgia tra il suo curriculum e quello di un politico molto lontano da lei. Lo ha messo all’angolo, e ha dato risposta a un interrogativo comune. Chiediamo ai personaggi pubblici: se vuoi che io ti creda scopri le tue carte, scendi dal podio, fammi sapere chi sei. “Lei non sa chi sono io” è una protesta da barzellette ma noi vogliamo invece saperlo, chi è lei (o lui), anche reciprocamente se ce n’è data l’occasione. E se giochiamo al ribasso vogliamo che rifletta e giustifichi i nostri vizi peggiori, in caso contrario speriamo di trovare il riflesso della nostra stessa ricerca, e magari un passo più avanti.
A me pare di poterlo dire, questa ricerca su di sé e disponibilità al dialogo con l’altro è una strada che quantomeno per ragioni culturali le donne praticano da più tempo, più spesso e più in profondità. Certo, non è un patrimonio scontato e neppure esclusivo. Ce ne dà un esempio – per uscire dal femminile – Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa oggi europarlamentare, che unisce alla sua le voci dei tanti che ha soccorso, o che non ha potuto salvare, e ce li rende presenti perché a suoi occhi lo sono.
Mi chiedo a volte se questo discorso vale solo per chi pratica sport estremi come salvare vite in mare, tornare da un lager, fuggire da una guerra o altro del genere. Certo, ci sono aspetti della realtà con i quali entriamo in contatto quasi tutti in modo filtrato, un testimone che è sceso agli inferi ed è tornato a raccontarlo ci cattura, ma alcuni dei nomi che ho fatto mi fanno pensare che il dramma non sia indispensabile. Se Elly Schlein in Emilia Romagna ha preso più preferenze personali di chiunque altro, o Michela Murgia è ascoltata come è ascoltata, non è perché siano riemerse da una tragedia – o almeno non ne sono a conoscenza – ma perché mostrano di mettere se stesse, testa e cuore, in quello che fanno, con testa capace e cuore sensibile.
In questo nostro tempo fake, in cui la truffa è dietro ogni angolo e più non sappiamo di chi e di che cosa ci possiamo fidare, chiediamo parole di nonmenzogna, per dirla con Capitini.
Si potrebbe anche dire che vogliamo la verità, ma sarebbe un rischio gravissimo. Al più facciamo i nostri esperimenti.