• 5 Novembre 2024 19:23

Se il ministro parla come un boss

DiRoberto Rossi

Giu 3, 2019

Conta nulla che nella seconda parte del suo messaggio, il ministro puntualizzi che la scorta non verrà tolta sulla base di criteri politici. L’intimidazione è chiara, forte e diffusa: estesa a chiunque pensi di poter agire come lo scrittore campano. È successo in passato, e succede ancora, anche a mezzo stampa, che il sistema mafioso (killer, politici e imprenditori) operi in questo modo: il mammasantissima incontrato al bar, a cui basta un cenno, o l’amministratore locale (ma anche il boss in galera) con delle pubbliche dichiarazioni accolte in pompa magna da foglietti (ma anche grosse testate regionali) messi in piedi con capitali mafiosi.

E questo basterebbe per censurare il comportamento del leader del maggiore partito italiano. Probabilmente, però, c’è una conseguenza ben peggiore nella modalità espressa da questo personaggio. Salvini non inventa nulla sul piano comunicativo: il linguaggio è recuperato dalle pieghe più invisibili e reazionarie della società. Il guaio è che, questa modalità espressiva, passando da lui, si fa modello, diventa una legittimazione: rafforza chi è già avvezzo ad usare la violenza come linguaggio (si pensi alle manifestazioni di Casapound nei quartieri della periferia romana; e chissà cosa succede nei fortini della criminalità organizzata); offre a chi è meno attrezzato, o a chi deve ancora formarsi come gli adolescenti, un atteggiamento da imitare. O forse, più che un modello da far proprio o qualcosa da assumere, offre la possibilità di restituirci alla parte peggiore di noi, sdogana la giacobinista liberazione dai limiti imposti dalla decenza necessaria alla sussistenza dello Stato di diritto.

Salvini libera la rabbia animalesca di una società arcaica, pre moderna, dove in pochi minuti, mettendo all’indice, si decide chi deve vivere e chi deve morire.

Di Roberto Rossi

L'interesse per il rapporto tra mafia e informazione e per il tema della censura violenta – sviluppato attraverso i linguaggi della saggistica, del teatro e del giornalismo – gli ha fatto ultimamente incontrare gli amici della nonviolenza, per i quali ha curato la rubrica Mafie e Antimafie su “Azione Nonviolenta”. Ha pubblicato con “Problemi dell'informazione” (Il Mulino), ha partecipato alla fondazione di Ossigeno per l'informazione, l'osservatorio sui cronisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza, ha scritto il libro “Avamposto” (Marsilio), sulle storie dei giornalisti minacciati dalla mafia in Calabria. Si interessa di teologia.

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