Un Papa due anni dopo dice, nella Pacem in terris, che solo dei dementi possono pensare alla guerra in era atomica. Di fronte a un mondo che, con scarso fondamento si proclama socialista, si pone un mondo che si dice, con qualche esagerazione, libero. Poco spazio hanno le iniziative dei paesi cosiddetti non allineati. Si vivono lunghi anni di guerra fredda, con qualche punto caldo in aree periferiche. I crescenti armamenti sono rivolti piuttosto all’interno dei rispettivi schieramenti. E vengono usati in caso di necessità. La Nato finisce con l’essere accettata come un ombrello necessario in tempi tempestosi. Il suo superamento esce dalle priorità della sinistra, anche nel nostro paese. Gli anni ’68-’69 di lotte studentesche e operaie tutto mettono in discussione, ignorano però il rinnovo dell’alleanza. Neppure il crollo del muro di Berlino e dell’Urss ne scalfiscono l’esistenza, continuata senza clamore. Ora siamo al suo rilancio.
Lo ha fatto Biden nella sua visita in Europa. La differenza con Trump l’ha sottolineata Draghi. L’altro per la sua prima uscita da presidente ha preferito l’Arabia saudita, neo rinascimentale, alla decadente Europa. L’apprezzamento per la civiltà saudita lo accomuna a un nostro ex presidente del consiglio. C’è chi si è scandalizzato per il compenso che questi riceve, ma sarebbe ben più inquietante se i suoi giudizi fossero spontanei e i suoi viaggi a proprie spese. Trump trovava costosa la Nato e poco utile all’America first, che decide da sola. Biden ne sottolinea invece il valore. Fa chiarezza nel mondo. Dentro ci sono tutte le democrazie, che si difendono dalle autocrazie, che stanno fuori. Il mondo torna a semplificarsi in una guerra fredda rinnovata. Da una parte ci siamo noi – dai sette dei G7 fino ai 26 membri della Nato – dall’altra il nemico di sempre, la Russia, guidata da Putin – assassino che Biden incontra comunque – minaccia per la sicurezza euroatlantica. Inquieta la Cina, con il suo crescente arsenale nucleare e politiche ed incisivi interventi, che sono una sfida sistemica.
Nella Nato il membro più importante è la Turchia, una democrazia, se no non sarebbe nella Nato, anche se Draghi pensa sia guidata da un dittatore. È il candidato ideale per la necessaria protezione dell’aeroporto di Kabul, ora che l’intera missione si ritira, La guerra è finita come tutte con la sconfitta dei contendenti e senza pace. Perché la pace è difficile e va costruita e nessuno lavora a questo. Draghi dice che un’Europa più forte garantisce una Nato più forte. A questo mira l’autonomia strategica rivendicata. Potrebbe esserci se Stati Uniti d’Europa dialogassero e collaborassero con gli Stati Uniti d’America, ma il primo interlocutore non c’è. Senza questo ogni autonomia è velleitaria. Draghi ha pure sottolineato l’importanza di considerare il fronte sud della Nato, il mediterraneo dove si confrontano, e spadroneggiano, Turchia e Russia. C’era un tempo la proposta di Euromediterranea avanzata da Alex Langer. L’Europa può e deve fare di più e meglio, riprendendo subito un processo federale con chi ci sta. Già può farsi portatrice di una politica estera di pace rivolta al Mediterraneo, all’Africa, al vicino Oriente.
Una nuova politica estera intanto dovrebbe essere inserita nel nostro Piano di Ripresa e Resilienza. È la prima proposta della Rete Pace e Disarmo. Ne ha formulate dodici, in modo preciso e circostanziato. Le persone si difendono non aumentando gli armamenti, ma con scelte di giustizia sociale e ambientale, in Italia, in Europa, nel mondo. Azione nonviolenta ha dedicato un numero all’illustrazione di queste proposte. Coinvolgono la politica estera, la cooperazione internazionale, la difesa civile, e pure nonviolenta, la riconversione dell’industria bellica, l’educazione e la pace. Il nostro governo le conosce, dobbiamo operare perché le prenda in considerazione. Consiglio uno sguardo al sito della Rete e, a chi sia interessato, la lettura del numero di Azione nonviolenta, da richiedere alla redazione. A qualcuno posso volentieri fornirne io una copia.
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