Riporto di seguito tutto ciò che ho appreso spulciando i giornali. L’incidente potrebbe essere provocato da un insieme di concause: proprio in quel momento l’uomo stava svolgendo una diretta Facebook del suo giro con i figli, la velocità era alta, le cinture di sicurezza non erano allacciate visto che tutti e tre sono stati sbalzati fuori dall’auto dopo l’impatto con il guardrail, e ora è certo che il conducente avesse assunto cocaina.
Il padre Fabio Provenzano, attualmente indagato per omicidio stradale, fa il fruttivendolo e ha precedenti penali per droga. È separato dalla madre dei due ragazzi e i figli sono stati affidati in modo condiviso ad entrambi i genitori. Nel trasferirlo da un ospedale all’altro le forze dell’ordine hanno dovuto scortarlo per proteggerlo dall’ira dei familiari materni dei due bambini, che lo considerano responsabile del gravissimo incidente.
Fin qui la cronaca, e il fatto – che non conosco da vicino – mi suscita tante domande, ma non ho risposte, dunque mi fermo qui. Certo me ne evoca altri, che invece ho potuto seguire personalmente.
Il signor Mario Rossi, violento con la moglie anche di fronte alla bambina e assuntore abituale di cocaina, reclama il diritto a frequentare la figlia liberamente. In un’udienza al tribunale per i minorenni promette solennemente di smettere con la droga, l’allora giudice gli crede e stabilisce che lui possa prendere con sé la figlia senza restrizioni, senza verificare se il padre smetterà per davvero, senza indirizzarlo al Servizio per le tossicodipendenze. Le promesse però sono labili. Fuori dall’aula di giustizia il signor Rossi prosegue con la droga e le cattive compagnie, viene fermato di notte, in strada, mentre con gli amici viaggia in auto a tutta velocità sparando in aria, coinvolge la bambina in scorribande automobilistiche molto rischiose, viene ripreso da una telecamera mentre cerca di scassinare un bancomat. Al successivo ricorso dell’avvocato della madre altri giudici minorili (io tra questi) seguono una linea diversa: il padre può mettere a rischio la bambina, è bene che si curi, nel frattempo vedrà la figlia in modo protetto purché gli incontri non siano lesivi per la piccola.
Altro caso. Il signor Giovanni Bianchi beve ed è violento in famiglia, lei lo denuncia più volte. Si separano – i bambini vengono affidati alla mamma, vedranno il padre alla presenza di un educatore – e questo sembra accantonare la violenza, lui si trasferisce all’estero per lavoro e ci resta alcuni anni con una nuova compagna. Nel frattempo non partecipa al mantenimento dei figli e non li frequenta. Quando anche la nuova coppia si scioglie Bianchi ritorna in Italia e tormenta la ex moglie. Questo gli frutta una breve condanna per stalking scontata ai domiciliari dopo la quale reclama gli incontri con i figli. La signora è poco propensa ad accompagnare i bambini, trova delle scuse, accetta o prende o inventa impegni alternativi proprio in quei giorni, così i servizi sociali segnalano la situazione al tribunale per i minorenni. La radice del problema, per loro, è che “la mamma è poco collaborativa” in quanto “non riconosce l’importanza della figura paterna”, e dunque “ostacola l’esercizio della bigenitorialità”. Il tribunale per i minorenni dispone che il padre riveda il suo rapporto con l’alcol e svolga un percorso per comprendere l’impatto sui figli delle sue aggressioni alla signora; chiede inoltre di accertare, con uno psicologo dell’infanzia, come stanno i bambini dopo le violenze e l’abbandono del padre.
Mi sembra tutto molto chiaro, ma forse è opportuno sottolineare qualche aspetto di fondo.
Primo. Inizialmente nessuno aveva pensato di chiedere alla figlia del signor Rossi, o ai due figli del signor Bianchi, se erano contenti di vedere il papà, se avevano paura, che cosa ricordavano del periodo in cui la famiglia era unita. Un bambino spettatore di violenza ha tutto il diritto di essere spaventato e ha bisogno di essere rispettato e aiutato dagli adulti. I genitori possono sbagliare, e possono cambiare, ma devono dimostrarlo e in ogni caso non possono pretendere che i loro errori non abbiano conseguenze, non lascino tracce profonde nei bambini.
Secondo. Il signor Rossi è stato valutato da due giudici diversi. Il primo tendeva a dare fiducia alle promesse di tutti gli accusati, per di più riteneva che indirizzare un padre cocainomane a un percorso di cura fosse anticostituzionale in quanto lesivo del diritto ad autodeterminarsi. Il secondo ha preteso dal signor Rossi un’assunzione di responsabilità in concreto, condizione preliminare per potersi occupare della figlia. Che è dire: liberissimo di continuare con la cocaina se vuole, ma allora avrà dei limiti nella frequentazione della bambina. Entrambi i giudici portano avanti un valore, non lo stesso, ed esprimono due anime del dibattito sull’affidamento e la protezione dei bambini.
Le stesse due anime si profilano nel caso del signor Bianchi, con la variante che vengono espresse una dal servizio sociale, l’altra dal tribunale per i minorenni. Reputo un segno – grave – dei tempi il fatto che proprio gli operatori dei servizi, desiderando il bene di questi bambini, mettano la bigenitorialità al primo posto senza rilevare un bisogno di protezione. Ipotizzo pure che lo facciano per tutelare se stessi, giacché la sentenza di separazione li impegna a organizzare incontri protetti e non ipotizza che quegli incontri possano provocare disagio. Il diritto del padre a frequentare i figli è scritto nero su bianco e non ha condizioni, gli operatori devono applicarlo, se non lo fanno sono perseguibili, salvo dimostrare che non è colpa loro.
Terzo. Tante donne vittime di violenza si sentono strette in una morsa: vogliono proteggere i bambini, che magari chiedono di non andare dal papà perché lo hanno visto all’opera e ne hanno paura, e non sanno come proteggerli sapendo che, se non li consegnano al padre, possono essere considerate madri alienanti e perdere completamente il rapporto con i figli. Una valutazione in questo senso è già presente nella testa di una parte dei giudici e degli operatori, diventerebbe legge qualora dovesse essere approvato il “ddl Pillon” di cui già ci siamo occupati.
Nella valutazione di nuclei familiari sempre complessi e spesso pieni di contraddizioni il mio pensiero è molto semplice. Anziché fare il tifo per il padre o la madre, anziché mettere sul piedistallo la bigenitorialità o il suo contrario, bisognerebbe chiedersi, ogni volta e in concreto, come stanno i bambini.