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Servizio civile: né obbligo, né mini naja, ma pari dignità tra difesa militare e difesa civile

DiPasquale Pugliese

Apr 7, 2019

Periodicamente riparte la corsa, da destra e da sinistra, a mettere le mani sul Servizio Civile con proposte – al contempo ideologiche ed estemporanee – di obbligatorietà, che fanno il paio con la rinascente idea di lanciare (più o meno) mini “naje”. L’ultima proposta di legge in questo senso, è passata recentemente alla Camera con ben 453 voti a favore e 10 contrari (i deputati di LEU), più 6 astenuti. Nel caso del Servizio Civile obbligatorio, c’è, sostanzialmente, una motivazione fondata sulla necessità di formare il carattere dei giovani italiani: “un antidoto fondamentale alla desertificazione delle relazioni, delle reti sociali e di senso a cui stiamo progressivamente assistendo”, scrive l’ex ministra della difesa Roberta Pinotti. Nel caso della cosiddetta mini naja, nelle motivazioni della proposta di legge c’è scritto: “il raggiungimento di obiettivi quali la comprensione del valore civico della difesa della patria sancito dall’articolo 52 della Costituzione quale sacro dovere di ogni cittadino; cognizione degli alti valori connessi alla difesa delle istituzioni democratiche del Paese attraverso lo strumento militare in Italia e all’estero; conoscenza, in maniera diversificata a seconda dell’età e del grado di istruzione dei partecipanti, delle principali minacce alla sicurezza interna e internazionale”.

Tuttavia tanto chi propone l’obbligatorietà del Servizio civile quanto chi propone la via militare “alla comprensione del dovere civico della difesa della patria” non tiene conto di un elemento fondamentale ribadito da più sentenze della Corte Costituzionale: “Come già affermato da questa Corte, il dovere di difesa della Patria non si risolve soltanto in attività finalizzate a contrastare o prevenire un’aggressione esterna, ma può comprendere anche attività di impegno sociale non armato. Accanto alla difesa militare, che è solo una delle forme di difesa della Patria può dunque ben collocarsi un’altra forma di difesa, che si traduce nella prestazione di servizi rientranti nella solidarietà e nella cooperazione a livello nazionale ed internazionale”. E’ la sentenza numero 119 del 2015 (che cita la precedente del 2014) della Suprema Corte, nella quale aggiunge che “in realtà, è lo stesso concetto di «difesa della Patria», nell’ambito del quale è stato tradizionalmente collocato l’istituto del servizio civile, ad evidenziare una significativa evoluzione, nel senso dell’apertura a molteplici valori costituzionali”.

Infatti, quando duranti i corsi di “formazione generale” alle centinaia di volontari in Servizio civile che incontro chiedo quali siano le vere minacce dalle quali sentono la necessità di difendere il Paese – cioè anche se stessi – non indicano pericolosi nemici contro i quali armarsi ma gravi questioni alle quali mettere mano: l’ignoranza, la precarietà, i cambiamenti climatici, il razzismo, la paura, la povertà materiale e culturale… ossia minacce concrete ed effettive, dalle quali non ci si difende affatto con mezzi militari, ma solo con strumenti civili. Rispetto alle quali il Servizio Civile, che aiuta lo Stato a difendere i diritti delle persone sanciti dalla Costituzione, contribuisce a dare risposte, mentre forma i giovani alla partecipazione attiva ed alla solidarietà.

Quindi, tanto l’evocazione dell’obbigatorietà del Servizio Civile quanto la reintroduzione di quello militare sotto mentite spoglie, aggirano il vero problema: nell’ordinamento del nostro Paese sono presenti due “forme” di difesa del Paese, una militare armata ed una civile disarmata, ma tra le due non solo non c’è pari dignità ne’ pari risorse, ma persiste una differenza abissale di riconoscimento e trattamento. Ossia il governo spende – nel corso di un anno – almeno 25 miliardi di euro nella difesa militare contro presunti nemici e meno di 200 milioni di euro nella difesa civile dalle reali minacce, al punto che quest’anno saranno avviati appena 30.000 nuovi volontari a fronte di oltre 100.000 domande annue. Quindi, prima di evocare obbligatorietà civili e mini naje militari, c’è un’operazione semplice e costituzionale da fare: trasferire risorse per la difesa della Patria dal bilancio della difesa militare a quello della difesa civile e consentire a tutti i giovani che vogliono farlo, di poter dedicare un anno della propria vita alla difesa civile, non armata e nonviolenta del Paese. Cioè anche alla difesa di se stessi. Un Servizio Civile Universale, secondo Costituzione.

Di Pasquale Pugliese

Pasquale Pugliese, nato a Tropea, vive e lavora a Reggio Emilia. Di formazione filosofica, si occupa di educazione, formazione e politiche giovanili. Impegnato per il disarmo, militare e culturale, è stato segretario nazionale del Movimento Nonviolento fino al 2019. Cura diversi blog ed è autore di “Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini” e "Disarmare il virus della violenza" (entrambi per le edizioni goWare, ordinabili in libreria oppure acquistabili sulle piattaforme on line).

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