Nel febbraio 2020 Elena Buccoliero ha condotto quattro lunghe interviste con Daniele Lugli filmate dall’amico Giuseppe Di Bernardo. La prima di queste riguardava la lotta per l’ottenimento di una legge sull’obiezione di coscienza. Ne riportiamo un brano per ripercorrere la nostra storia, mentre i fatti che accadono nei luoghi di guerra ci ricordano il valore ma anche il rischio connessi a una scelta di obiezione di coscienza.
Parliamo del GAN.
Sì, il GAN. Gruppo di Azione Nonviolenta. In verità, l’avevamo chiamato Gruppo di Azione Diretta Nonviolenta, ma poi nella sintesi, nell’acronimo, è venuto meglio chiamarlo GAN. È una piccola iniziativa, però nella quale alcuni tra gli amici del Movimento Nonviolento si sono spesi, soprattutto negli anni dal ’63 al ’65-’66, per dare inizio in Italia a una campagna di riconoscimento dell’obiezione di coscienza.
Poteva occuparsi anche d’altro, a Napoli il GAN si caratterizzò ad esempio per una manifestazione di sostegno e di aiuto nei confronti dei baraccati, con un digiuno pubblico, ma l’attività fondamentale era quella di porre il problema dell’obiezione di coscienza anche in Italia. Allora, in questi termini, non c’era assolutamente nessuno che lo ponesse. C’erano stati, sì, dei casi di obiettori di un qualche rilievo. Cominciavano a esserci anche nell’ambiente cattolico, che era rimasto a lungo estraneo, se non addirittura ostile al riconoscimento dell’obiezione di coscienza.
Come è nato il GAN?
Al termine di un bel seminario internazionale sulle tecniche della nonviolenza, che si è tenuto nell’agosto del ’63 a Perugia, Piero Pinna, che allora collaborava con Aldo Capitini e che era stato il caso certamente di maggior rilievo, come obiettore di coscienza nel dopoguerra, propose di dare uno sbocco operativo a quel seminario, nel quale erano state presentate tecniche della nonviolenza nei diversi Paesi. Lo sbocco che lui proponeva era quello di impegnarsi per l’ottenimento di una legge per l’obiezione di coscienza. Tutti i tentativi precedenti erano falliti, e quindi, in perfetta solitudine abbiamo cominciato a operare come Gruppo di azione nonviolenta.
Raccontami del convegno.
Il convegno aveva una partecipazione di… decine di persone. Non centinaia, ma decine sì. Si teneva tutte le mattine e tutti i pomeriggi alla Rocca Paolina, a Perugia. Era agosto ma non c’era caldo dentro alla Rocca Paolina, questo poteva essere un vantaggio. E poi le discussioni andavano avanti anche alla sera, quindi era un convegno a tempo pieno insomma, per una decina di giorni.
Questo mi fa ricordare che, grazie al recupero di nastri di Radio Radiale, oggi è possibile riascoltarne una buona parte. E a me ha colpito quando ho risentito la voce di Aldo Capitini, una voce molto… molto scandita, precisa, sempre molto accurata… e ho risentito anche la voce di un giovinastro indubbiamente ferrarese, con delle ESSHE e delle ELLE che parlava anche lui al convegno, con ben tre interventi…
Questa foto sul prato è molto conosciuta.
È stata scattata davanti al Convento dei Cappuccini, durante una delle nostre discussioni. Io sono il primo da sinistra, riconoscibilissimo perché ovviamente non sono cambiato (ride), poi il mio amico Enzo Bellettato di Rovigo, Piero Pinna e Aldo Capitini, e dopo di lui Riccardo Tenerini, uno dei ragazzi cresciuti con Capitini, che era stato nella Resistenza disarmato, e Danilo Dolci. L’ultima che vedi è Eugenia Bersotti, conosciuta come Eughenes, che era anche poetessa.
Siamo sicuri che fosse un convegno internazionale?
Come no. I partecipanti arrivavano da ogni parte del mondo. La collaborazione più importante e che ci ha dato anche la spinta per l’azione diretta nonviolenta veniva da Peter Cadogan, del Comitato dei Cento, quello legato a Bertrand Russell.
Devo dire che ero andato a Perugia, oltre che per rivedere Capitini di cui avevo letto molto, lui aveva già fatto la prima marcia Perugia-Assisi nel ’61 alla quale non avevo partecipato e io però ero già andato a trovarlo pochi mesi dopo, nel ’62… Oltre a questo, mi spingeva l’idea di avere un contatto o con Russell o con uno dei suoi collaboratori più stretti, perché le azioni dirette di cui avevamo notizia da altri paesi, come le occupazioni delle basi militari, mi sollecitavano.
Poi il convegno finì e…
…e quando Pinna disse: “Abbiamo sentito le tecniche della nonviolenza, ne abbiamo parlato a lungo, adesso si tratta di metterle in pratica, chi ci sta ad avviare un Gruppo di azione nonviolenta?”, si formò il gruppo di azione diretta nonviolenta.
In realtà due di Milano vennero accreditati sulla parola, perché Putelli che era allora il rappresentate della War Resisters’ in Italia ci disse che certamente avrebbero aderito. E poi ci furono Pinna, che si assunse la responsabilità del GAN, Luisa Schippa, la più fedele collaboratrice di Capitini da quando faceva il liceo, Enzo Bellettato di Rovigo, che fece poi una bella obiezione di coscienza, molto significativa e anche particolare, e io. Quindi all’inizio il gruppo che si è assunto questo compito era composto da sei persone. Ne abbiamo perso subito uno, che ha preso tutt’altre strade e non è mai venuto, mentre noi cinque, in modo diverso, c’eravamo.
Per me, tornare a Ferrara voleva dire costruire un Gan locale, capace di agire sul piano dei territori più vicini.