Questo libro “Silvano Balboni era un dono”, disponibile in biblioteca, è un viaggio nella breve intensa vita di uno per sempre giovane: è morto a 26 anni nel 1948. Chi lo leggerà scoprirà il legame profondo che lega Silvano a Giorgio Bassani, al quale questa biblioteca è intestata. Scoprirà l’importanza per lui della biblioteca comunale, che intensamente frequenta e al cui miglioramento, come assessore, si impegna, e l’amore per i libri, dei quali è attento lettore e diffusore. Gli scrive l’editore Ugo Guanda il 30 aprile del ´48: “Ah! Ci fosse un Balboni in ogni città, altro che Mondadosai sarei. Mi si è incastrata la macchina da scrivere”. Tutti i suoi amici ricordano la segnalazione, il prestito, il regalo di un libro.
Viaggia molto nell’attività antifascista per tenere i collegamenti tra i vari gruppi e quello ferrarese. In una lettera a Gianfranco Contini li cita, con un bel termine risorgimentale: “rivendite ferraresi, sarde, bolognesi, fiorentine, vicentine…” Viaggia clandestino e disertore – dovremmo dire obiettore di coscienza – da maggio a novembre del ’43, nella provincia e nella vicina Romagna, a organizzare forme di resistenza, che vorrebbe diffuse e non violente. Viaggia esule in Svizzera, come internato militare, da un campo all’altro, in contatto con uomini di cultura, antifascisti di diverso orientamento e il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Al ritorno nel ’45 in Italia riprende i suoi viaggi, in bicicletta sempre, come mi hanno ricordato gli amici che lo hanno conosciuto.
“Adolescente lo ricorda il compagno di scuola Giorgio Valentini non saper come dire al padre di aver danneggiato la propria bicicletta. Sarà il padre di Valentini a dare la notizia facendo presente la “contrizione” di Silvano”. Della sua attività, ciclistica e clandestina, è traccia anche nei verbali della guardia repubblichina, che ne ricostruisce le mosse quando lui, da mesi, è già passato in Svizzera, su precisa indicazione di Alda Costa. Sempre con la fida bicicletta appare in diversi interrogatori,
“A d. R (cioè A domanda Risponde), Lo rividi a Bondeno, un giorno che non ricordo di quale mese fosse: ottobre o novembre, circa verso mezzogiorno. Eravamo in un gruppetto di studenti, vicino alla Posta centrale di Bondeno; il Balboni arrivò in bicicletta; io lo riconobbi; Nino Mori, mio compagno di studi lo riconobbe lui pure… A d. R. Sul tardo ottobre ero in Bondeno dopo la morte di mio padre, avvenuta a Bologna il 25 settembre 1943, quando, trovandomi con alcuni altri miei colleghi vedemmo giungere in bicicletta un individuo, credo uno studente, della nostra età all’incirca (che ho saputo chiamarsi Balboni, dal Cavallari, durante la mia detenzione attuale) intorno al quale corsero subito qualcuno dei miei compagni di studi, dinanzi all’Ufficio dell’Annonaria, in via De Amicis… A d. R. Il Cavallari rimase in casa sua; il Balboni partì in bicicletta, dopo… A d. R. Usciti dalla casa del Cavallari ce ne andammo a mangiare mentre il Balboni partì in bicicletta per destinazione a me ignota”.
Bondeno era infatti solo una tappa nel peregrinare di Balboni per indurre i giovani a non presentarsi alla chiamata alle armi e a disertare, con indicazioni su dove rifugiarsi, e nomi di vecchi antifascisti per adoperarsi per sottrarre beni agli ammassi forzati e altre azioni di disturbo nei confronti di tedeschi e repubblichini. Con queste premesse non meraviglia che luogo privilegiato di incontri clandestini nel periodo precedente – con Claudio Savonuzzi, Maturino Correggioli, operaio dell’IMI, e un gruppo di operai comunisti – fosse la Chisal (Chinaglia e Salmi), officina di biciclette, in via Ragno a Ferrara.
Tornato in Italia nell’agosto del ’45 prima di tutto va a Perugia in bicicletta a trovare Capitini, come scrive l’amico Claudio Savonuzzi a Giorgio Bassani. Tutti a Ferrara vanno in bicicletta, ma lui di più. Un settimanale satirico lo raffigura in bicicletta mentre raggiunge le diverse località. Nel necrologio ufficiale è scritto: “Si fece apprezzare soprattutto per il suo non comune disinteresse, per la sua vita francescana, per la sua attiva presenza nell’azione educatrice di adulti e di giovani. Il più umile casolare della campagna conosceva Silvano che solo, in bicicletta, giungeva sempre opportunamente a portare la sua opera”.
Toni analoghi sono nella commemorazione che ne fa Aristide Marcolini, pro-sindaco, compagno ed amico di Silvano. “La sua volontaria povertà francescana ispirata al concetto che non sa essere libero chi non sa essere povero; il suo estremo pudore del bisogno che gli faceva rifiutare la colazione in casa di un amico per continuare solo, con una mela in tasca, sulla bicicletta il viaggio per recarsi a Lagosanto lo proiettano fuori dal mondo attuale”.
Così pure il suo più stretto collaboratore nell’attività di assessore, Lino Genta. “Ogni piccolo o grande villaggio della provincia chiedeva di ascoltare la sua parola piena di fede, di speranza e di fascino. In bicicletta, solo, con scarso denaro, si avventurava spesso di notte nei più sperduti villaggi ad adempiere quello che egli chiamava un dovere”.
Ne allarga il campo di azione Giuseppe Bardellini. “Non mancava ogni anno di fare una visita ai suoi amici in Francia ed in Svizzera – coi quali ha avuto rapporti durante l’espatrio – ed anche in queste occasioni suppliva alla insufficienza economica viaggiando sull’amica bicicletta, con un sacco da viaggio per le cose indispensabili, ed un sacco a pelo per trascorrervi le notti nelle località ove si imbatteva di sera, durante le sue peregrinazioni”.
Ho condiviso il sogno di Silvano di un socialismo, massima eguaglianza e massima libertà di tutti. Capitini lo chiama liberalsocialismo. Concludo con una parola, che per me è di speranza, del cileno José Antonio Viera Gallo. “Non ha perso di attualità e importanza l’annuncio di “Un socialismo che può solo arrivare in bicicletta”, praticato da Silvano, prima della formulazione di Ivan Illich. Certo non può arrivare con i carri armati, come la storia ha mostrato, né alcuna democrazia può arrivare, neppure con armi più sofisticate, come la cronaca dimostra”.