Come già mostrato dai dati recentemente diffusi dall’Osservatorio Milex anche il SIPRI registra aumento degli investimenti militari italiani (la maggiore crescita europea registrata dall’istituto svedese). La Campagna mondiale sulla spesa militare (GCOMS) e la Rete Disarmo chiedono di spostare gli ingenti fondi su utilizzi più socialmente utili.
Continua la crescita, anche se lenta, delle spese militari nel mondo: il totale è ora di 1.686 miliardi di dollari. Lo rivelano le elaborazioni pubblicate oggi dall’Istituto svedese SIPRI, che certifica inoltre un deciso balzo in avanti dell’Italia (+10% dal 2015 al 2016). I dati dell’Osservatorio Milex, nel primo Rapporto annuale pubblicato a metà febbraio, hanno già inoltre confermato una crescita prevista per le spese militari italiani del 2017. Le due tendenze, pur con alcune differenze di metodologie e conteggio, si confermano vicendevolmente.
Secondo i dati diffusi oggi le dinamiche della spesa militare variano considerevolmente tra diverse regioni del globo. La spesa ha continuato a crescere in Asia ed Oceania, nell’Europa centrale e dell’est e in Nord Africa; al contrario c’è stata una flessione per quanto riguarda l’America centrale, e soprattutto nel Medio Oriente (trend evidenziabile per i paesi dei quali è disponibile una stima). Le crescite più significative sono quelle già citate riguardanti gli Stati Uniti e il Nord America insieme all’Europa occidentale.
Per gli USA (sempre al vertice della classifica) si registra una crescita dell’1,7% (a 611 miliardi di dollari) mentre la Cina ha avuto un + 5,4% (in rallentamento rispetto al passato) con un totale di 215 miliardi di dollari. Al terzo posto la Russia (+5,9% a 69,2 miliardi di $) che ha superato l’Arabia Saudita costretta a diminuire i propri investimenti del 30% (63,7 miliardi di dollari). Seguono India, Francia, Gran Bretagna, Giappone, Germania e Sud Corea prima dell’Italia.
La crescita della spesa militare statunitense nel 2016, pur rimanendo inferiore del 20% al suo picco del 2010, potrebbe segnalare la fine di un trend di discesa iniziato con la crisi economica e il ritiro delle truppe americane da Afghanistan e Iraq. “Nonostante la permanenza limitazioni complessive nel budget federale, il Congresso USA ha continuato a votare a favore di nuove spese militari” afferma la Dr Aude Fleurant, Direttrice del Programma SIPRI Arms and Military Expenditure (AMEX). “Le dinamiche della spesa futura rimangono incerte a seguito dei cambi nella situazione politica statunitense”.
Occorre invertire la rotta. Lo chiede gran voce Campagna mondiale sulla spesa militare (GCOMS), una mobilitazione internazionale nata nel dicembre 2014 e promossa dall’International Peace Bureau di cui anche Rete Disarmo è parte rilanciandola in Italia. L’obiettivo della Campagna é quello di far pressione sui governi affinché investano nei settori della salute, dell’educazione, dell’impiego e dell’ambiente invece che in quello militare. GCOMS include al suo interno anche le giornate di azione globale sulle spese militari (GDAMS), che quest’anno celebrano la loro settima edizione dal 18 al 28 aprile.
Come dimostrano i dati in tutto il mondo i governi stanno insistendo per aumentare la propria spesa militare. Negli Stati Uniti il presidente Donald Trump ha annunciato un ulteriore aumento di 54 miliardi di dollari che inciderà sulle spese legate alla diplomazia e agli affari esteri. Tutti i governi europei aderenti alla NATO hanno concordato in due occasioni, in Galles e a Varsavia, di spendere il 2% del PIL nazionale in difesa e parallelamente stanno creando un nuovo sistema di fondi per lo sviluppo e la ricerca militare. Dall’altra parte del mondo la Cina ha dichiarato di voler incrementare il proprio budget militare del 7% nel 2017. Tra gli altri Stati che sono in cima alla lista dei Paesi che maggiormente spendono nell’ambito militare troviamo l’Arabia Saudita e il Giappone che hanno seguito la scia degli aumenti. A questo si aggiungono le pressioni di Trump e di tutta l’Amministrazione americana, sebbene la crescita nella spesa militare degli Stati non sia del tutto un nuovo fenomeno di questi mesi.
La società civile del mondo vuole andare in altra direzione. Da anni la Campagna mondiale sulla spesa militare (GCOMS) propone un taglio del 10% delle spese militari e secondo i dati analizzati dal SIPRI questo sarebbe sufficiente per raggiungere importanti obiettivi per le popolazioni, quali l’eliminazione della povertà estrema e della fame (si vedano le infografiche allegate).
“Con lo scenario sopra descritto abbiamo molte buone ragioni per rinnovare la nostra determinazione nel richiedere un taglio nella spesa militare di tutti i governi e di avvicinarci maggiormente alla prospettiva della sicurezza umana che molti vorrebbero vedere” afferma Jordi Calvo Rufanges del Centre Delas di Barcellona coordinatore della Campagna internazionale. Di recente Donald Trump ha detto: “Dobbiamo ricominciare a vincere le guerre”, noi dichiariamo che dobbiamo invece ricominciare a costruire la pace. E’ fondamentale che si costruiscano in tutto il mondo strutture che favoriscano la sicurezza umana, e allo stesso tempo che vengano interrotte guerra e distruzione.
Senza dimenticare l’impatto negativo di questa scelta sulla salute globale del pianeta. “Nel 2014 oltre 17,5 milioni di persone si sono dovute spostare dalle loro case per disastri naturali legati al clima, e le cifre continueranno a crescere drammaticamente nei prossimi decenni. Eppure i Governi non hanno ancora deciso di impegnarsi su questo problema, sprecando ancora troppi soldi per le armi e pochi per curare il nostro pianeta – commenta Francesco Vignarca coordinatore di Rete Disarmo – Un recente studio internazionale stima che il rapporto di spesa tra la sicurezza militare e quella climatica sia di 28 a 1! Nella stessa analisi si sottolinea che per contrastare gli effetti del climate change servirebbero 55 miliardi di dollari all’anno, ma nel 2017 ne sono stati stanziati solo 21: 34 miliardi di dollari mancanti equivalgono però a solo il 2% della spesa militare annuale. E l’obiettivo fissato dagli SDG dell’Onu sul clima invece richiederebbe 100 miliardi di dollari all’anno, cioè solo il 6% della spesa militare”
Riducendo drasticamente il budget della difesa in tutti i Paesi avremmo due effetti: si ridurranno i livelli di militarizzazione e violenza contro i civili e, se i soldi verranno redistribuiti intelligentemente, si potranno trovare risorse per finanziare meccanismi di peace building per proteggere i diritti umani e per affrontare il cambiamento climatico in corso.
Tutti possiamo fare pressione sui governi in questo senso, ed in particolare la GCOMS fornisce alcuni strumenti: il rilancio dei dati e delle infografiche, il “selfie” di pressione alla politica per indicare in quali ambiti di spesa pubblica alternativa si desidererebbe spostare le enormi cifre a disposizione ogni anno degli investimenti militari
I flussi di rifugiati e altri spostamenti forzati delle popolazioni civili sono una delle conseguenze dirette della guerra, della disuguaglianza e della violenza: la crisi dei rifugiati é stata militarizzata in tutto il mondo. Invece di costruire muri, militarizzare le frontiere e ignorare i diritti umani, dovremmo offrire le “armi pacifiche” della tolleranza, della cooperazione, della giustizia globale e dell’integrazione. Invece di un bilancio militare, abbiamo bisogno di un bilancio sociale globale per affrontare gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (SDG Goals). Invece del business degli armamenti e la militarizzazione dei confini, dobbiamo rispondere all’attuale crisi umanitaria con un vero e proprio budget per proteggere e promuovere i diritti umani.