Premessa della redazione La guerra distrugge: uccide le persone, rompe le cose, dilania anche i rapporti. Il tema “Siria” ha creato un campo minato anche qui da noi. Grande è la confusione: Assad è una vittima delle trame della Nato, di Israele e della Turchia per alcuni, o è un dittatore fascista carnefice del proprio popolo per altri. C’è anche chi arriva a dipingere i terroristi di Daesh come nuovi partigiani, o a vedere in Trump il possibile liberatore. Insomma, difficile districarsi. Come sempre la verità è la prima vittima della guerra. Ma noi questa verità dobbiamo ostinarci a cercarla. Sappiamo che in Siria sono ancora attivi e propositivi movimenti nonviolenti e gruppi di resistenza nonviolenta: vogliamo sentire la loro voce. Noi, come Movimento Nonviolento, cerchiamo di ascoltare tutti, ma anche di essere prudenti, soprattutto per il rispetto che dobbiamo alle vittime. Cerchiamo anche di guardare con particolare attenzione a quello che noi stessi possiamo fare. E soprattutto di non aumentare i conflitti e fare buona informazione. Pubblichiamo due testi (che non rispecchiano il nostro pensiero), agli antipodi tra loro, come esempio della lacerazione che la guerra ha prodotto anche nel cosiddetto movimento per la pace. Il primo è di Gianluca Solera (qui), già nostro collaboratore, il secondo della rete di attivisti NoWar di Roma (qui). E’ un tentativo di contributo alla discussione, anche quando difficile. (NdR)
Da un compound superprotetto, circondato da lastroni di cemento incastrati in modo identico a quello del Muro di segregazione israeliano, e serrato da cancelli di ferro e sbarre pesanti quanto un fuoristrada, a Kabul, questa mattina, ascoltavo l’intervento del presidente Trump sull’attacco all’aeroporto militare siriano. In Italia, iniziava la giornata. Provavo strane impressioni: si trattava forse di un documentario di repertorio di Franklin Delano Roosvelt, il presidente del New Deal e del coinvolgimento statunitense nella seconda guerra mondiale? Oppure forse del John Fitzgerald Kennedy della crisi dei missili sovietici a Cuba, risolta con il parziale disarmo delle due superpotenze? No, niente di tutto questo, era Donald Trump, quell’antipatico uomo d’affari che disprezza l’Islam, il multilateralismo e le donne, nega l’esistenza del cambiamento climatico e rilancia la corsa agli armamenti, e che non voterei neppure sotto coercizione. Abbiamo dovuto attendere una delle sue esternazioni per sentire le cose come stanno, giacché ormai i capi di Stato usano un linguaggio incomprensibile che non descrive la verità dei fatti, né le loro (dei capi di Stato) opinioni:
“Il dittatore siriano Bashar al-Assad ha lanciato un terribile attacco chimico…”: giusto, ben detto, è un dittatore;
“È indiscutibile che la Siria abbia usato armi chimiche vietate…”: finalmente, che si dica, senza utilizzare la giustificazione che siano ancora necessarie lunghe indagini internazionali;
“Anni di precedenti tentativi di cambiare questa attitudine hanno fallito drammaticamente…”: vero anche questo; dopo l’attacco chimico di Ghouta, il governo siriano accettò di aderire alla convenzione internazionale sulle armi chimiche, ma evidentemente – dopo aver consegnato le armi chimiche alla OPCW (Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons) – il regime se ne è procurate altre;
“Il risultato è che la crisi dei rifugiati si approfondisce e la regione si destabilizza, minacciando gli Stati Uniti e i suoi alleati”: vero, ho sempre pensato che i rifugiati siano (e siano stati) utilizzati come un’arma politica per mettere sotto pressione i Paesi europei e minacciarne la tenuta democratica;
“Chiedo a tutte le nazioni civilizzate di fermare il massacro e lo spargimento di sangue in Siria e arrestare il terrorismo di ogni tipo ed origine”: giusto, è terrorismo non solo quello delle milizie dello Stato Islamico, ma anche quello dello Stato siriano; secondo il Violation Documentations Center in Syria, l’88,6% delle vittime civili dal marzo del 2011 ad oggi sono state causate dal regime di Damasco1. Secondo il Syrian Network for Human Rights, le vittime civili causate dal regime e dalle milizie iraniane si attestano al 92,17%2.
“E, fintanto che l’America difende la giustizia, pace e armonia alla fine prevarranno”: una dichiarazione onesta, franca, che implica anche il suo opposto; quando l’America (o la Russia, o la Cina, o chi per loro) non difende la giustizia, bensì la repressione e l’ingiustizia, non vi sarà mai pace, né stabilità.
E ora, noi progressisti e democratici che facciamo? Superati a Sinistra dal dottor Trump? Dobbiamo dichiararci unilateralmente pacifisti, fino a che l’ultimo abitante della Siria che dissenta abbia lasciato il Paese, sia morto sotto i bombardamenti, o scomparso in un carcere? E quelli non di Sinistra che sono contro le burocrazie internazionali e gli establishments, che faranno ora, dopo aver lodato il dottor Trump come il più grande rottamatore o “vaffanculista” dei tempi moderni?
Nell’estate del 2012, mentre la rivolta siriana volgeva definitivamente verso la guerra civile a seguito della risposta cruenta delle autorità, l’allora presidente americano Obama aveva minacciato il governo siriano, annunciando che l’uso delle armi chimiche sarebbe stata la linea rossa oltre la quale l’America sarebbe intervenuta con la forza. Nel settembre di quell’anno, stavo a Lussemburgo con attivisti arabi e europei che si interrogavano sul destino delle rivoluzioni e delle proteste che avevano attraversato la regione. Padre Paolo dall’Oglio – che in quell’epoca si trovava a Sulaymanya, dopo aver lasciato il monastero di Mar Musa al-Habashi, posto a qualche decina di chilometri a settentrione di Damasco, essendo ormai diventato persona non grata in Siria per la sua testimonianza di dialogo, nonviolenza e libertà – collegato via Skype denunciava con fermezza e lucidità le ambiguità americane. Forse che le migliaia di civili cadute sotto i colpi delle armi convenzionali non rappresentavano un crimine sufficiente per parlare di linea rossa? Fin dove la morte degli innocenti è politicamente accettabile, indipendentemente dai numeri? Non sappiamo dove sia Padre Paolo, se sia ancora in vita o sia passato a migliore vita; certo, i suoi insegnamenti ci mancano, il suo senso della dignità e della compassione, un umile servo di Dio che non guardava attraverso i suoi occhi di persona di carne, bensì attraverso quelli dello spirito. Quando penso a lui, mi viene in mente il poeta mistico persiano Gialal al-Din Rumi, nato nel XIII sec. d.C. in quello che è l’odierno Afghanistan, quando scriveva: “Puoi dire che i tuoi occhi vedono Dio, ma è Dio che vede, come nel Corano, quando la montagna del deserto si rivolge a Dio, e occhi appaiono su ogni pietra”3.
Nel frattempo, anche i sostenitori più radicali del presidente americano in carica, che lo avevano esaltato arrivando a pensare che la rivincita dell’uomo ariano fosse vicina, prendono le distanze, e congetturano che l’attacco chimico di Khan Sheikhoun fosse stato orchestrato da una rete di militari americani per giustificare la reazione, avvenuta questa mattina con il bombardamento dell’aeroporto militare di Shayrat4. Sono curioso di vedere come reagiranno i corrispettivi di quell’area politica e culturale in Italia, notoriamente filo-russi e assadisti. Con molta sofferenza, mi ero collegato a Internet dopo la notizia dell’attacco di Khan Sheikhoun, avvenuto il 4 aprile. Quel giorno, si era aperta a Bruxelles una conferenza internazionale dei donatori che sostengono una transizione democratica in Siria sotto l’egida delle Nazioni Unite, e assistono le comunità in Siria più colpite dagli effetti della guerra civile, così come i paesi che sono stati maggiormente interessati dall’afflusso di rifugiati siriani. Era per consultare i risultati della conferenza che l’avevo fatto5. Quanto mi spaventava maggiormente non erano le foto dei bambini soffocati dal gas a Khan Sheikhoun, bensì le varie tesi cospirative che circolano sulla rete, alimentate dalla propaganda russa, che sostenevano che fosse esploso un deposito di armi chimiche dei “ribelli” o fosse stato identificato e distrutto dall’aviazione siriana. Tra me e me, avrei voluto vomitare sulla rete anche una mia tesi, ovvero che gli stessi “ribelli” (che termine disgraziato, come fossero dei monelli, giovani che non rispettano i buoni costumi sociali) avessero fatto saltare il deposito per eliminare fisicamente qualche centinaia di sfollati provenienti da Aleppo, dopo la riconquista della città da parte del governo siriano legittimo, e questo perché le strutture di accoglienza non erano più sufficienti (non essendo la comunità internazionale così generosa come il governo italiano, che esborsa 35€ giornalieri per rifugiato). Alla fine, non l’ho fatto per timore che venisse accreditata massicciamente dalla rete.
Tra le notizie che mi hanno fatto maggiormente riflettere vi è stato il post del Movimento 5 Stelle, che si dichiara vicino al popolo siriano, e dopo l’attacco di Khan Sheikhoun chiede un’inchiesta ONU indipendente6. Benissimo, solo che le Nazioni Unite devono chiedere il permesso delle autorità siriane per effettuare tale inchiesta, e una risoluzione presentata dai paesi occidentali al Consiglio di sicurezza ONU questa settimana, che chiedeva il piano dei voli militari avvenuti al momento dell’attacco, e di avere accesso alle basi aeree da cui potrebbe essere partito lo stesso, è stata subito paralizzata dalla Russia, che avrebbe imposto il veto in caso di voto. Il post di cui sopra dichiara: “La nostra condanna dell’uso della forza e della violenza come strumento di risoluzione delle crisi internazionali è ferma e totale. Noi siamo sempre contro chi uccide”. Niente di più condivisibile. Perché allora, caduta la città di Aleppo nel dicembre dell’anno scorso, dopo un assedio atroce e sanguinoso da parte dell’esercito regolare siriano appoggiato da iraniani e russi, lo stesso mezzo di informazione pubblicava una dichiarazione intitolata “La liberazione di Aleppo”, in cui si lodava l’intervento militare che ha distrutto la metà della città7? Ritornando al post relativo a Khan Sheikhoun, questo continua aggiungendo: “Non è una guerra cominciata ad Idlib, è una guerra mossa da interessi di altri Paesi e non certo da quelli del popolo siriano”. Vero e falso. La guerra è cominciata per deliberata volontà del regime siriano di schiacciare le proteste popolari con la repressione poliziesca e l’aggressione militare, che spinse i giovani rivoluzionari del 2011 a armarsi per difendersi. Le potenze straniere sono intervenute dopo. Ancora una volta, si occulta il diritto all’autodeterminazione popolare contro il despotismo. Per capire di più, ho letto i commenti al post, e non ne ho trovato uno che si chiedesse se non fosse stato forse il regime a usare le armi chimiche; al contrario: una sequenza straordinaria di congetture da guerre stellari contro l’Impero del Male, fatto di capitali occidentali, islamisti e governi corrotti, di cui pochi illuminati hanno scoperto i piani criminali.
La risposta più plausibile a quello che è successo a Khan Sheikhoun l’ha offerta un commentatore del Washington Post, un tale Richard Cohen. Cohen non è certo un liberale, anzi aveva sostenuto la guerra in Iraq, per poi distanziarsene più tardi. Questa settimana, dopo che il Segretario di Stato Rex Tillerson e l’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite Nikki Haley avevano dichiarato che gli USA non si prefiggevano più di rimuovere dal potere al-Assad, ha scritto: “Nessuno può affermare con certezza che al-Assad abbia agito dopo che l’amministrazione Trump ha manifestato la sua indifferenza al fatto che restasse al potere. Ma non è illogico di pensarlo. Le parole di un presidente americano contano e sono scrutinate all’ossessione dai governi stranieri, per cui quelle parole valgono qualcosa. Anzi, essi costruiscono le loro politiche a partire da quelle parole. Uccidono basandosi su quelle parole. La vaghezza talvolta è utile. Talaltra uccide”8. Il presidente Trump aveva il Washington Post sottobraccio, quando si è consultato con il Pentagono.
Sono stanco. Sono stanco perché ciò che manca è il senso dell’umanità. Quando parliamo di Siria, di rifugiati, di dissenso, di Islam, parliamo sempre di numeri e di governi, mai di persone. Anche se il fascismo siriano sta trascinando buoni e cattivi in una guerra mondiale, di cui cancellerie democratiche e burocrazie autoritarie stanno già misurando costi e benefici, non abbiamo più il coraggio di agire per il bene dell’umanità. C’è voluto il night speech di un miliardario senza scrupoli per sentire parlare di valori.
Avessimo un poco degli occhi di cui parlava Gialal al-Din Rumi.
Qui
Vivono per sempre
Gli occhi che furono chiusi alla luce
Perché tutti
Li avessero aperti
Per sempre
Alla luce.
Sono gli occhi profondi dei partigiani, che ci mancano, e che Giuseppe Ungaretti descrive con tanta leggerezza9.
* giornalista, saggista, è stato consigliere politico al Parlamento Europeo ed è autore del libro “Riscatto Mediterraneo”; ora a Kabul dove sta seguendo un progetto sulla partecipazione
delle donne alla vita politica e civile.
Kabul, 7 aprile 2017
Matthew Haag, “Trump’s Far-Right Supporters Turn on Him Over Syria Strike”, The New York Times, 7 aprile 2017.
La dichiarazione finale della conferenza è disponibile su: http://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2017/04/05-syria-conference-co-chairs-declaration/
Cfr.: http://www.ilblogdellestelle.it/vicini_al_popolo_siriano_subito_una_inchiesta_onu_indipendente.html
Richard Cohen, “Trump finally realizes the truth about Syria’s Assad. Now what?”, The Washington Post, 6 aprile 2017.
Giuseppe Ungaretti, “Per i morti della resistenza”, poesia composta durante la seconda guerra mondiale.