Il 15 marzo 2011 è considerata la data d’inizio della ribellione della popolazione siriana contro il regime di Bashar Assad, a seguito dell’arresto di alcuni studenti nella piccola città di Dara’a nel sud della Siria che, uscendo da scuola, scrissero su un muro “il popolo vuole la caduta del regime”.
Il loro arresto fu la scintilla che animò la rivolta. Giovani, uomini e donne che come in altri paesi della regione scesero in piazza per dire basta alle ingiustizie, alla repressione, chiedendo dignità, libertà, diritti.
Quattro anni sono passati da quell’inizio e la quantità, la gravità, l’assurdità dei morti, delle distruzioni, dei profughi è sovrastata dalle guerre e dal caos politico che ha sconvolto l’intera regione. La richiesta di libertà e di giustizia della popolazione contro una dittatura è diventato il terreno di scontro tra gruppi armati, mercenari, potenze regionali ed interessi geo-politici internazionali fuori controllo dagli stessi mandanti, dove violenza e terrore dettano le regole e l’agenda politica.
Ciò che sta accadendo oggi in Siria, in Libia, in Nigeria, in Ucraina, è la conseguenza di un unico grande problema: l’assenza di un governo globale del pianeta che garantisca il rispetto dei diritti, delle convenzioni e degli accordi. E’ la presa d’atto che ancora oggi nel XXI secolo, gli stati, le nazioni, nonostante aver costruito l’Organizzazione delle Nazioni Unite, a seguito dei milioni di morti delle terribili guerre del secolo scorso, dell’olocausto e della bomba atomica, pur di difendere i propri interessi e le proprie egemonie, sono disposte a proseguire per la strada delle guerre, del sostegno alle dittature, del saccheggio delle risorse naturali, dello sviluppo ineguale, anziché metterle al bando, condannarle, relegarle a fenomeni del passato, da non dimenticare per non essere più ripetuti.
Ad oggi la politica e le Istituzioni internazionali si sono rivelate incapaci di prendere le decisioni necessarie a fermare la logica della guerra e della sopraffazione. L’Europa non fa purtroppo eccezione, mentre sarebbe fondamentale un suo ruolo propositivo per l’affermazione di una politica di pace e di giustizia. La nostra proposta di creare uno spazio di dialogo e di confronto tra le diverse componenti della società civile siriana, lanciata nello scorso mese di settembre a Firenze (Un passo di pace) è sempre più urgente ed indispensabile perché solamente attraverso il riconoscimento e la legittimazione delle diverse comunità locali è possibile fermare la violenza ed il terrore. E’ una strada faticosa e complessa ma non ve ne sono altre. Non esistono scorciatoie o accordi segreti per ricomporre, riconciliare e ricostruire la convivenza in una società distrutta e martoriata.
La nostra solidarietà è con chi soffre e con chi è vittima della violenza, di ogni matrice e di ogni colore, è con la popolazione siriana che rivendica dignità, diritti, libertà e rispetto dell’altro. La nostra azione è tesa a dar voce e spazio politico alle comunità locali, alla società civile, affinché queste possano riprendere la guida del proprio futuro e decidere in libertà le proprie istituzioni, senza più paura.
Rinnoviamo quindi la richiesta alle nostre istituzioni di cambiare strada, di fare un passo di pace, d’investire nella società civile, nel dialogo, nel confronto:
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accogliendo i profughi ed assistendo in modo dignitoso chi è in fuga e vittima di questa guerra;
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sostenendo i canali aperti dalla società civile ed investendo sul dialogo e sul confronto;
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fermando la vendita di armi e la cooperazione militare con tutti stati che rientrano nel teatro del conflitto;
Il 15 marzo sarà anche per tutti noi un momento di riflessione e di solidarietà con la popolazione siriana, ma anche con tutte le altre popolazioni vittime della follia della guerra e del terrore. Saremo anche noi nelle piazze d’Italia con coloro che manifesteranno, in modo pacifico e nonviolento, per la pace, per le libertà, per i diritti, per la giustizia.
La Rete della Pace