Nella piazza del mercato il sarto Baffo Rosso cuce capolavori su misura finché un giovanotto con ambizioni da industriale rileva l’impresa e lo fa lavorare in catena di montaggio, insieme alla moglie e i suoi bambini. Ma davvero non c’è alternativa alla velocità, all’omologazione, al profitto?
Gli artisti del circo Soluna scommettono di sì. Talmente tanto che su questa scommessa hanno improntato il loro modo di vivere. Petra, Stefan e i loro compagni di strada da ventotto anni incantano bambini e adulti con uno spettacolo gioioso e senza pause, generoso, illogico.
Si comincia dal principio: gli artisti accolgono il pubblico, le donne in vestaglie da camera colorate e improbabili, tutti con sorrisi aperti, senso pratico, professionalità e attenzione alle persone. Un occhio di riguardo è per i bambini, chi non ha paura di staccarsi dalla mamma o dal papà può godere delle primissime file per vedere meglio. Anche tra gli adulti si diffonde una familiarità naturale tra vicini mai incontrati prima. Ci si dà una mano, se sei più basso di me puoi venire davanti. Sembra che tutti non vediamo l’ora di disarmarci in questo bizzarro mondo che proprio perciò lo consente.
Più delle grandi città il circo Soluna ama i paesi minuscoli, dove è possibile trovare prati e fontane per saziare e abbeverare le bestie. Al posto dei palchi c’è il prato, tappezzato di teli e coperte provviste dai circensi, e una piccola tribuna per chi non se la sente di stare per terra. Per sedersi non si prenota e non si paga, chi lo desidera lascia un’offerta alla fine dello spettacolo e scommetterei che in tanti lo abbiamo fatto con piacere, ma non c’è chi controlla che tutti riempiano il cappello.
Il capocomico – in arte è Bartolomeo con la moglie Betti, “B&B, molto più di un bed and breakfast”, lui un omino segaligno che suona il sax e il piano, ipnotizza una gallina e più avanti si produrrà in un buffo, improbabile strip-tease – ha presentato brevemente la serata prima di cominciare.
“Siamo 10 galline, 4 capre, 2 oche…” (ho paura di sbagliare a numerare le bestie, ci sono anche cani, gatti, porcellini d’India…), “…e 14 persone di 7 diverse nazionalità”. Scopro a parte che i capostipiti, Stefan e Petra, sono tedeschi ma si sono conosciuti in Umbria. Da lì, quasi trent’anni fa, è iniziato il cammino che li ha portati per un decennio in Ungheria, poi qualche anno in Slovenia, e ora di nuovo in Italia. I loro spostamenti sono lenti. “Viaggiamo con i nostri carri trainati dai cavalli alla velocità media di cinque chilometri all’ora”. In ogni piazza s’intrecciano relazioni, amicizie, ospitalità. Sono vegetariani, hanno bisogno di poco, ma se un cavallo ha un problema – mi spiega una spettatrice ben informata – possono chiamare un osteopata da lontano.
Tra di loro il cellulare è sgradito. “Vi chiediamo di non scattare fotografie e non girare video: noi siamo qui dal vivo e ci piace guardarvi dal vivo, senza schermi davanti alla faccia. Dietro il tendone se volete abbiamo un bidone, molto grande, per i rifiuti elettronici”. Con la risata, tra il pubblico si diffonde un senso di sollievo, anche se il desiderio di fissare il ricordo farà capolino, almeno in me che scriverò di loro, e sono contenta di qualche scatto preso durante l’attesa. Intanto i pannelli solari, che durante la giornata hanno immagazzinato energia, ora la restituiscono per accendere le luci, far funzionare i microfoni e tutto ciò che serve affinché lo spettacolo possa avere luogo.
Sulla scena ogni artista è tanti personaggi e incarna diverse arti. Insieme sono musicisti, giocolieri, trapezisti, mimi, attori, cantanti, funamboli, ballerini, clown, giocano con le ombre cinesi e altro ancora. Il dosaggio delle emozioni è sapiente, se una scena può creare tensione soprattutto nei più piccoli ci sarà subito dopo una risata. Le musiche, essenziali ed eseguite dal vivo, sottolineano e creano le atmosfere. Si esibiscono anche le bestie… animali feroci, quelli che ho detto.
L’ironia attraversa i diversi numeri e prende in giro un po’ il vivere comune, un po’ loro stessi e l’arte circense. Come quando il grande sarto Baffo Rosso disegna il suo cartamodello giocando al lanciatore di coltelli intorno alla sagoma di uno spettatore incappucciato e contornato di palloncini. Più che lanciarli passa i coltelli alla sua assistente che va a piantarli nel legno, ogni lama è un palloncino che scoppia.
Chi va a vedere il Circo Soluna se può ritorna, chi ha la possibilità lo invita nel proprio paese. Vicino a noi sedeva una ragazza di vent’anni dagli occhi brillanti che con gli artisti ha fatto amicizia nei giorni precedenti, quando erano accampati vicino a casa sua, e li ha seguiti ora nel paese accanto. Del resto è un gemellaggio di famiglia, il fratello della fanciulla suona la tromba ed è reduce da una jam session pomeridiana con il figlio di Stefan e Petra, l’unico, su sei, che fa parte della compagnia, “perché loro non sono di quei circensi che obbligano i figli a seguire la loro arte”, spiega ancora la ragazza mentre ci accoglie e ci mette a nostro agio.
“Hanno i cavalli e tanti altri animali, c’era chi stava in pensiero, invece prima di andare via dal mio paese hanno raccolto e ripulito tutto e hanno portato via i rifiuti in bicicletta”. E conclude: “Io dico che hanno lasciato lo spiazzo in condizioni migliori di come l’avevano trovato”.
Complimenti Elena per il commento e la precisa descrizione di questo spettacolare circo !!!! Io sto seguendo questi ragazzi da oltre un anno, mi ritengo privilegiata. È proprio vero “chi va a vedere il circo SOLUNA se può ritorna”, è proprio il mio caso ☺️. Ho perso il conto dei chilometri finora fatti !!!!!!
Da consigliare, a grandi e piccini, abbiamo molto da imparare da questi ragazzi. E soprattutto ci trasmette una grande serenità interiore