• 22 Novembre 2024 7:01

Stupri di regime con Pinochet

DiDaniele Lugli

Feb 15, 2021

Un libro di Daniel Hopenhayn, “Así se torturó en Chile (1973-1990)”, ne parla diffusamente. Non mi risulta tradotto in Italia. Un articolo di El Pais ce ne fornisce una traccia. I fatti sono desunti dal rapporto Valech, esito di una Commissione sulla prigione politica e la tortura al lavoro negli anni 2005-2006. Anche nel Cile di Pinochet (come in Argentina) è diffusa la violenza sessuale sulle donne arrestate o rapite dai paramilitari e in molti casi poi uccise. Lo stupro e le altre sevizie sono una forma di tortura e assieme espressione di violenza di genere. Le dimensioni di quanto accade e le forme nelle quali si traduce tolgono la parola. Forse effettivamente stuprum e stupor hanno la stessa radice. Non fossero così largamente documentati i fatti, si faticherebbe a crederci.

Stupro e guerra

Le donne, come altri “beni”, sono preda e oggetto di saccheggio in guerra da parte del vincitore. Da sempre. Nei tempi a noi vicini più che una conseguenza – compenso ai sacrifici del guerriero – sono una componente dell’impegno bellico volto alla pulizia etnica se non al genocidio. L’espressione più compiuta è nei lager nazisti. Ma lì non si ferma. I soldati dell’Armata rossa respingono a ovest 15 milioni di tedeschi e violentano, a migliaia e migliaia, le donne. Per restare solo in Europa, e in tempi successivi, ricordiamo gli stupri di massa delle guerre della ex Jugoslavia e le sopravvissute alle torture e alle violenze.

Centauri. Alle radici della violenza maschile

Con la guida di Luigi Zoja possiamo interrogarci sull’inadeguatezza maschile, sull’identità fragile e recente del maschio. Non fossimo male impastati non ci sarebbe così facile fare quello che facciamo. Contagiosa, epidemica è la regressione della mascolinità alla violenza in guerra o in situazioni simili, meglio se in divisa. La crudeltà innata e prevaricatrice della sessualità emerge appena si allenta il controllo sociale e civile. Dietro ai casi illustrati da Zoja, nella storia lontana e vicina, avvertiamo il galoppo dei centauri, metà uomini e metà animali. “La loro orda non conosce altro eros che l’ebbrezza orgiastica accompagnata dallo stupro”. Diffido sempre dell’enfasi sulle componenti biologiche del nostro agire, anche se già tradotte in miti e dunque opera della creatività umana. Certo non si può negare la realtà di “branchi di maschi nella frenesia dello stupro collettivo: la predazione si ripete dai primordi della storia, attraversando immutata il processo di incivilimento, impennandosi nel cuore del Novecento e guadagnandosi ancora oggi grande spazio nelle cronache”. Con un po’ di tempo a disposizione val la pena ascoltare direttamente Zoja.

Plan Condor

Pinochet usurpa il potere con l’appoggio dei servizi Usa. È l’avvio del “Piano Condor”: Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Bolivia coordinano la loro guerra a guerriglieri e oppositori. La CIA ha desegretato i dossier relativi. Richard Nixon ed Henry Kissinger (premio Nobel per la Pace) sapevano, se pure non ne siano stati anche i mandanti. In Italia c’è stato un processo, in primo e secondo grado. Ventiquattro imputati su 25 nel processo per i crimini dell’Operazione Condor sono stati condannati in 2° grado all’ergastolo per omicidio pluriaggravato di 23 italiani ai tempi delle dittature in Sudamerica. La sentenza ribalta le tante assoluzioni che avevano segnato la decisione di 1° grado.

La lunga battaglia dei familiari delle vittime ha avuto questo esito e permesso di far luce sull’operazione. Dice Aurora: “Per me questo processo è iniziato nel 1999, quando ho rilasciato le prime dichiarazioni alle autorità italiane sull’omicidio di mio marito, Daniel Banfi”. Esule dall’Uruguay, è trucidato nel ’74 in Argentina. Così funziona il Piano Condor: persecuzione, tortura, sparizione, assassinio di migliaia di oppositori in fuga da un paese in cerca di rifugio in uno vicino.

Mettere le donne al loro posto

Nell’America latina, fin da Colombo e poi dai conquistatori spagnoli e portoghesi, la violenza sulle donne indigene è stata la regola.

I colonizzatori europei hanno esercitato uno stupro sistematico delle indigene, fatte schiave. Nessun dubbio sulla loro posizione doppiamente subordinata, come donne e come non bianche. Così i figli meticci che sono nati da colonizzatori ossessionati dalla “limpieza de sangre”. Le donne che hanno il coraggio di opporsi al dittatore debbono essere ricondotte a ragione. Come le indigene dei secoli passati non fanno veramente parte della società. Vanno messe al posto che loro spetta. La violenza sessuale in particolare ha questo significato. Non è solo umiliazione e tortura. Di solito non si cerca di strappare notizie utili a ulteriori arresti e persecuzioni. Vanno corrette nel modo più deciso queste donne, che agiscono contro natura. Si interessano di politica invece di stare in casa a preparare i buoni piatti della cucina cilena. Tra i torturatori questa a quanto pare è una novità c’è pure qualche donna. Anche lei è fuori dalle mura domestiche, ma per una buona causa. In questa volontà di colpire e correggere le donne che non stanno in riga vedo qualche parentela con il jackrolling. In Sudafrica branchi di maschi si danno allo stupro come terapia nei confronti di donne lesbiche, gravemente devianti cioè.

Non solo in passato, non solo in Cile

Lo stato di minorità delle donne, negato dal diritto, non è ovunque superato. Le conquiste in questo campo non sono mai definitive. Il rapporto Valech, al quale il libro di Hopenhayn si rifà, è di importanza straordinaria per l’accurata documentazione di una sistematica politica di tortura. È sul corpo delle donne che la guerra continua nei diversi paesi. Nel genocidio c’è un nucleo di ginocidio. Non mancano le denunce e i rapporti. Penso solo all’attività dispiegata da Amnesty. Non citerò perciò i casi che le cronache, a volerle leggere, quotidianamente ci propongono. Un impegno è stato assunto solennemente 10 anni fa. L’11 maggio 2011 a Istanbul è stata firmata la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. Il primo paese a ratificare è stato la Turchia. Due anni dopo l’Italia l’ha ratificata. Nel 2017 l’Unione Europea ha firmato. È una buona convenzione: la violenza sulle donne è violazione dei diritti umani e discriminazione; gli Stati sono responsabili se non la prevengono adottando norme e comportamenti conformi alla Convenzione; la distinzione tra uomini e donne non è unicamente basata sulle differenze biologiche (sesso) ma anche su categorie socialmente costruite (genere); la protezione delle donne è indipendente dalla loro origine, età, razza, religione, ceto sociale, status di migrante o orientamento sessuale; ci sono reati da perseguire quali le mutilazioni genitali, il matrimonio forzato, gli atti persecutori, la sterilizzazione e l’aborto forzati. Attualmente è firmata e ratificata da 34 paesi. Altri 12 l’hanno firmata e non ratificata. Altri l’hanno semplicemente rifiutata. Sembra che la Turchia, già paese capofila, intenda ritirarsi. Ha avviato la disdetta la Polonia. Aveva firmato e ratificato. Un governo che si vuole “vero cattolico” non accetta che un governo “vero musulmano” lo preceda nel togliere protezione e diritti delle donne!

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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