In questi giorni sta girando su diversi media la notizia dell’obiezione di coscienza della giovane israeliana Tair Kaminer (19 anni) ai due anni di servizio militare nell’esercito israeliano.
Nella sua dichiarazione di obiezione, postata nel suo profilo su un social network e su quello dell’associazione israeliana Mesarvot, la ragazza mostra di avere le idee molto chiare, ribattendo apertamente al giudizio di biasimo che viene dato a chi – come lei – si rifiuta di contribuire alla sicurezza del proprio Paese. Infatti, a tale argomentazione Tair ribatte che si tratta di una sicurezza applicata “selettivamente” da parte dello stato d’Israele, laddove la vera sicurezza ci sarà solamente quando il popolo palestinese potrà vivere liberamente e con dignità in uno stato indipendente a fianco ad Israele.
Tair Kaminer per adesso è stata condannata a 20 giorni di carcere militare, ma in generale cosa succede agli obiettori di coscienza israeliani?
Israele è un altro di quegli Stati che – per usare un eufemismo – nicchiano davanti alle raccomandazioni del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite.
Infatti, Israele segue lo stesso modus operandi di altri Stati già analizzati in questi rubrica: Grecia e Turchia. Il copione – trito e ritrito – prevede un servizio civile alternativo a quello militare disponibile quasi solo sulla carta; prevede di fingere di non sapere che sottoporre gli obiettori di coscienza a continui processi violi il principio giuridico del ne bis in idem; prevede infine di far valutare la richiesta degli obiettori da parte di una commissione composta prevalentemente da ufficiali delle Forze armate.
Di conseguenza – nelle Osservazioni conclusive del secondo (2003), terzo (2010) e quarto (2014) ciclo di monitoraggio – il Comitato per i diritti umani ha raccomandato di modificare le norme in modo conforme alla libertà di pensiero, coscienza e religione, così come stabilita dall’articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
In particolare, nel 2014 il Comitato ha ribadito la necessità di rendere pienamente indipendente l’autorità competente per la valutazione delle richieste di obiezioni di coscienza e che il procedimento davanti alla stessa preveda un’audizione del richiedente ed il diritto d’appello in caso di decisione avversa. Inoltre, il Comitato chiede ad Israele di astenersi dall’incarcerare ripetutamente chi si rifiuta di servire nelle forze armate, in quanto questo costituisce una violazione del principio del ne bis in idem.
Dalla dichiarazione di Tair Kaminer, non si evince se la ragazza ha fatto richiesta di obiezione di coscienza o se la sua richiesta sia stata respinta, oppure ancora se – paradossalmente – tale procedura sia talmente fittizia che chi intende obiettare non perde neanche tempo a farvi ricorso.
L’unica cosa che sappiamo è che non si possono che ammirare i giovani che come lei sfidano il biasimo della società israeliana, unendo la condanna dell’equazione sicurezza=militarizzazione al sostegno della lotta del popolo palestinese.
Brava Tair!
Per chi volesse sostenere la sua causa, può farlo tramite la War Resisters’ International (WRI) cliccando qui.
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