Il 25 aprile è la Festa della Liberazione del nostro Paese dal nazifascismo. Il fondamento del nazifascismo erano il militarismo e la guerra. Guerra e militarismo sono gli elementi di nazifascismo, vivi e vegeti, con i quali dobbiamo ancora fare i conti. Per questo il fondamento dell’antifascismo non possono che essere l’anti-militarismo e il ripudio della guerra, non a caso principio fondamentale della Costituzione repubblicana. Per questo, oggi più che mai, la liberazione si chiama disarmo e la resistenza si chiama nonviolenza. Non solo il 25 aprile
Un brivido è corso lungo la schiena di molti alla notizia che gli USA hanno sganciato sull’Afghanistan la bomba “moab” – Massive Ordnance Air Blast bomb – la più potente bomba non nucleare utilizzata nella storia dell’umanità (ribattezzata, non a caso, “madre di tutte le bombe”) e alla successiva escalation nucleare (seppur, al momento, solo verbale) tra Donald Trump e Kim Jong-un. E’ come se improvvisamente, si sia presa coscienza del fatto che la corsa alla guerra è tornata ad essere davvero una minaccia per l’umanità, per tutti e ciascuno. Albert Einstein lo aveva detto fin dal 1955, nel pieno della corsa agli armamenti tra USA e URSS: “o l’umanità distruggerà gli armamenti o gli armamenti distruggeranno l’umanità”. Oggi l’URSS non c’è più, ma gli armamenti non sono stati affatto distrutti, anzi la corsa alle armi più distruttive è ricominciata, più folle che mai. Nonostante 1.700 miliardi di dollari dei bilanci degli Stati siano già spesi ogni anno dai governi per preparare e fare le guerre, Trump ha deliberato l’aumeto del 10% della – già stratosferica – spesa militare USA e ha chiesto a tutti i Paesi NATO, Italia compresa, di portare la propria spesa per la guerra al 2% del Prodotto interno lordo. Trascinando alla sua rincorsa la Russia, la Cina e tutte le “potenze” nucleari, che – non a caso – hanno disertato in massa il Tavolo delle trattative ONU per la messa al bando delle armi nucleari.
Il “complesso militare-industriale” – dalla cui abnorme ingerenza anche il presidente Eisenhower metteva in guardia le democrazie – non ha mai vissuto, dall’abbattimento del Muro di Berlino, tempi floridi come questi: il volume del commercio internazionale di armamenti è in crescita costante, scrive nel suo ultimo rapporto il SIPRI; la terza guerra mondiale è in corso “a pezzi”, il terrorismo – altra faccia della guerra e suo figlio prediletto – dilaga ovunque, anche nel cuore dell’Europa, e la chiamata alle armi (anche private) è generalizzata. Di fronte a questo scenario strutturale, le ultime vicende hanno fatto ripartire girandole di appelli e chiamate “contro la guerra”, ma – come ha scritto il Movimento Nonviolento – “non è più sufficiente indignarsi, stigmatizzare, aborrire; sono fuori tempo massimo gli appelli ai governi, i cortei di protesta, le manifestazioni di condanna, che non hanno mai fermato nessuna guerra. L’impegno solo reattivo dell’insieme delle persone e dei soggetti che vogliono la pace, ma si muovono quando i missili sono già partiti (per poi tornare ad occuparsi di contingenze considerate sempre più urgenti), dimostra debolezza e inefficacia. Un movimento pacifista che si fa dettare l’agenda dall’avversario è un movimento inadeguato, autoreferenziale, inconcludente, non all’altezza delle sfide del nostro tempo.”
E’ necessario organizzare invece la liberazione dalla guerra attraverso una tenace e costante resistenza alla guerra, alla sua preparazione ed agli strumenti che la rendono possibile, costruendone – qui ed ora – le alternative. E’ necessario che tutti coloro che oggi sono preoccupati dell’escalation bellica internazionale considerino la resistenza alla guerra come l’impegno politico, civile e sociale fondamentale e propedeutico a tutti gli altri. La preparazione della guerra contrae gli spazi della democrazia, militarizza la cultura ed educa la società alla violenza, sottrae risorse agli investimenti sociali che vengono anzi brutalmente tagliati. Oggi non basta dunque l’impegno estemporaneo, collaterale, occasionale contro questa o quella guerra, ma occorre fare dell’impegno per la pace il centro del proprio agire politico. “La pace è una cosa troppo importante da lasciare nelle mani dei soli governanti”, diceva Aldo Capitini, già nel 1961: per questo ciascuno deve impegnarsi ovunque si trovi – a scuola, all’università, al lavoro, tra gli amici, nei partiti, nei sindacati – per organizzare gruppi di resistenti alla guerra, raccogliere fondi, approfondire e agire la nonviolenza, realizzare incontri pubblici, costruire comitati a sostegno della campagna Un’altra difesa è possibile.
Il 25 aprile è la Festa della Liberazione del nostro Paese dal nazifascismo. Il fondamento del nazifascismo erano il militarismo e la guerra. Guerra e militarismo sono gli elementi di nazifascismo, vivi e vegeti, con i quali dobbiamo ancora fare i conti. Per questo il fondamento dell’antifascismo non possono che essere l’anti-militarismo e il ripudio della guerra, non a caso principio fondamentale della Costituzione repubblicana. Per questo, oggi più che mai, la liberazione si chiama disarmo e la resistenza si chiama nonviolenza. Non solo il 25 aprile