“Lo strumento fondamentale per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole.
Se puoi controllare il significato delle parole, puoi controllare le persone che devono usare le parole.”
Mi piace questa frase dello scrittore americano Philip Kindred Dick [1] perché prova a spiegare come alcuni politici usino appositamente certi termini in modo tale da condizionare il comportamento di chi li ascolta.
Ad esempio, nelle 136 pagine della proposta cosiddetta “buona scuola”, lo sfoggio di termini della lingua inglese è ridondante (vedi qui) perché intende suggerire un’idea di modernità, di progresso, di innovazione mistificando la reale natura competitiva, classista e anticostituzionale della proposta renzusconiana.
Nello stesso stile, il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone, sul suo blog intitolato Cambiamenti, scrive :
“La buona scuola è diventata un brand in grado di attrarre su di sé l’attenzione dei privati. Sono state tantissime le imprese – da Samsung a Microsoft – che spontaneamente hanno contattato il Miur per “sponsorizzare” la scuola e le sue buone pratiche. E di questo sono molto contento: vuol dire che è chiaro a tutti che è sul futuro del nostro Paese che dobbiamo investire e che siamo chiamati tutti quanti a farlo perché la scuola è società e ne siamo tutti responsabili.”
Onde evitare equivoci, il brand è un nome, un simbolo, un disegno o una combinazione di tali elementi, con cui si identifica un prodotto al fine di differenziarlo da altri offerti dalla concorrenza; è anche la relazione emotiva e psicologica che suscita un certo prodotto sul cliente.
In parole povere il brand è la marca di un prodotto; ma se si dice brand si è più alla moda e si fa pesare agli altri il fatto di essere degli ignoranti 2.0.
Una cosa è certa, alla pari di un prodotto commerciale, la cosiddetta “buona scuola” è una marca che è stata venduta bene.
Coltivo però un’ipotesi: penso che sarà molto diverso quando gli acquirenti più fiduciosi consumeranno il prodotto perché solo allora si accorgeranno che la cosiddetta “buona scuola” contiene tracce superiori alla norma di conservanti antidemocratici, di additivi aziendalistici, di elementi emarginanti, di esaltatori di competizione e di dolcificanti per contribuenti.
Se è normale, per chi governa questo paese, che lo scuola possa diventare un brand e possa essere sponsorizzata allora è enorme la distanza fra questa idea di società e quella di chi continua a ritenere la scuola un organo costituzionale, così come delineato da Piero Calamandrei e ripreso dalla Legge di Iniziativa Popolare per una Buona Scuola per la Repubblica.
È aberrante che la scuola di tutti e di ciascuno possa venir trasformata in un volgare bene di consumo; purtroppo però è quello che sta già succedendo.
Ad esempio, qualche giorno fa, a scuola abbiamo ricevuto una bella lettera colorata in cui, fra le altre cose, c’era scritto:
“Diventa anche tu un sostenitore della Scuola italiana!
Acquista attraverso la piattaforma dai brand aderenti all’iniziativa e potrai dare un contributo concreto alla nostra scuola.
La piattaforma Io Sostengo La Scuola funge da punto di incontro tra aziende private e scuole italiane, pubbliche e private.
All’interno della piattaforma “Io sostengo la Scuola” compaiono in vetrina i brand che aderiscono all’iniziativa, ciascuno con la propria proposta commerciale accompagnata da dichiarazione d’intenti.
Tutti gli utenti: studenti, docenti, famiglie, simpatizzanti, ecc., una volta registrati, possono effettuare acquisti dalla piattaforma “Io Sostengo La Scuola” ricevendo in cambio i punti corrispondenti al valore dell’acquisto. L’utente potrà in qualsiasi momento verificare l’accumulo punti nella sua area riservata e scegliere la scuola o le scuole a cui destinarli.
Le scuole hanno a disposizione un catalogo premi dedicato composto da materiale didattico e multimediale: lavagne multimediali, libri, notebook, tablet, tastiere, chiavi USB, licenze software, proiettori, ecc. Per redimerli sarà sufficiente raggiungere il numero di punti indicato. I punti che riceveranno le scuole saranno tutti volontariamente donati dagli utenti della piattaforma “Io Sostengo La Scuola”.
Per le scuole e per gli utenti la piattaforma “Io Sostengo La Scuola” è totalmente gratuita e non comporta alcun contributo sotto alcuna forma.
Il progetto vige nel rispetto dei principi di correttezza e di trasparenza ed è patrocinato dal Ministero della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca”.
È questa quindi la “buona scuola” in cui crede Matteo ‘enzi?
Quella in cui gli insegnanti dovrebbero distribuire ai genitori i consigli per gli acquisti suggeriti dal Ministero?
Quella che invita a consumare merci per sostenere il Piano dell’Offerta Formativa?
Quella che dovrebbe far felici i genitori di raccogliere punti e gli insegnanti di ricevere premi?
Quella che considera buone pratiche solo quelle sponsorizzate?
Quella che propone lo sviluppo dell’informatica e delle classi 2.0 ma solo se targate Microsoft o Samsung?
È questa dunque la cosiddetta “buona scuola” del brand?
Se è questa allora io, a modo mio, vi dico…
Tenetevi il brand e tutte le sue brandine perché, adombrandomi nel vedere la scuola ridotta a un brandello, sembrando Brando ne Il selvaggio, brandirei davanti a tutti l’articolo due della LIP, celebrando in tal modo la nostra Costituzione.
Comunque stiate librandovi, buona lettura del primo comma dell’articolo 2 della LIP sulle finalità generali del sistema educativo di istruzione statale:
1. Il sistema educativo di istruzione promuove l’acquisizione consapevole di saperi, conoscenze, linguaggi, abilità, atteggiamenti e pratiche di relazione, visti come aspetti del processo di crescita e di apprendimento permanente, con un’attenzione costante all’interazione ed all’educazione interculturale, che si caratterizza come riconoscimento e valorizzazione delle diversità di qualsiasi tipo ed è intesa come metodo trasversale a tutte le discipline.
[1] Autore, fra gli altri, del libro che ispirò il film Blade Runner: Do Androids Dream of Electric Sheep?