Subito non ci ho fatto caso, ma poi ho riletto meglio, per essere sicuro di aver capito bene. L’immagine utilizzata era doppiamente capovolta rispetto alla tradizione, non è dio/padre che accoglie l’umanità/bambino, ma esattamente il contrario: è dio/bambino accolto dall’umanità/madre: dio è un bambino nel grembo dell’umanità. E’ l’umanità che partorirà dio e lo dovrà accudire, allattare, riscaldare, vestire, aiutare a crescere, amare e poi vederlo sorridere, insegnargli tutto, dalle prime parole ai primi passi. E’ il rovesciamento della vecchia teologia basata su un dio onnipotente che ci guarda dai cieli. E’ il ritorno alla teologia evangelica, quella di Betlemme: dio è un bambino che nasce e l’umanità dei pastori e dei Re Magi, va ad accoglierlo, accorgendosi che è fragile, debole, inerme.
Questa è la vicinanza di dio all’umanità. Non una vicinanza che aiuta, ma una vicinanza che chiede aiuto. Dio chiede aiuto all’umanità, dio ha bisogno dell’umanità come il bimbo della madre. E cosa c’è di più vicino alla nonviolenza se non la relazione della madre con il suo cucciolo?
Si può essere credenti o no, ma raccontata così è proprio una bella storia.