di Alberto Bertone*
Remigio Cuminetti nacque nel 1890 in provincia di Torino e morì nel 1939 in un ospedale del capoluogo piemontese, a quarantanove anni. Si era proclamato obiettore di coscienza nel 1915, durante la prima guerra mondiale, rischiando la fucilazione e scontando poi anni di carcere e di manicomio. Il suo divenne il primo caso documentato di obiezione dell’Italia moderna1. Cuminetti apparteneva al gruppo degli Studenti Biblici Internazionali; il movimento religioso che nel 1931 assunse il nome di Testimoni di Geova.
Per il suo rifiuto, Cuminetti, era stato processato nel 1916 dal Tribunale di Guerra di Alessandria. Dalla sentenza N. 309 del 18 agosto 1916, consultabile presso il Tribunale Militare di Torino, si evincono i motivi di coscienza addotti dall’obiettore: «Si rifiutò dicendo che la fede di Cristo ha per fondamento la pace fra gli uomini, la fratellanza universale, che egli quale convinto credente in quella fede non poteva né voleva indossare una divisa che è simbolo della guerra e cioè l’uccisione dei fratelli (così egli chiamava i nemici della patria)». La sentenza, emessa dopo cinque minuti di camera di consiglio, «alla pena di tre anni e mesi due di reclusione militare per il reato di rifiuto d’obbedienza», fu confermata dal Tribunale Supremo di Guerra e Marina il 7 dicembre 1916.
Remigio Cuminetti lavorava in una fabbrica di Villar Perosa che, all’inizio del conflitto, fu asservita alla costruzione di armamenti. Indossando la fascia di operaio militarizzato, egli avrebbe potuto evitare la chiamata alle armi; tuttavia, la coscienza lo indusse a licenziarsi. Arruolato, dovette affrontare le conseguenze della sua decisione2.
Arresti, condanne e deportazioni sotto il regime fascista
Nel nostro paese, durante gli anni del fascismo, il numero relativamente ridotto di testimoni di Geova sul territorio nazionale contribuì a rendere la loro repressione pressoché ignota.
Fin dal 1903 un piccolo gruppo di studenti biblici si riuniva a San Germano Chisone, in provincia di Torino. Nel 1908 si costituì a Pinerolo la prima congregazione. Più tardi Cuminetti assunse il ruolo di referente dell’opera in Italia.
Nel 1925, per eludere la sorveglianza della polizia fascista, la prima assemblea degli Studenti Biblici in Italia si tenne, mascherata da festa nuziale, all’albergo «Corona Grossa» di Pinerolo. L’occasione fu il matrimonio fra il Cuminetti e Albina Protti. Circa cinquanta furono gli «invitati» presenti.
Come anzidetto, nel 1931 il movimento religioso, divenuto internazionale, assunse il nome di Testimoni di Geova. I cento/centocinquanta aderenti italiani dell’epoca furono oggetto di indagini e di azioni repressive da parte dell’O.V.R.A., la temibile polizia fascista. Dopo la circolare Bocchini del 22 agosto 1939, nel giro di qualche settimana, circa trecento persone furono interrogate, inclusi individui «colpevoli» solo di ricevere la rivista La Torre di Guardia in abbonamento. Circa centocinquanta, uomini e donne, furono arrestati e confinati; fra essi Aldo Fornerone di Prorostino, a proposito del quale ritorneremo in seguito, e Domenico Giorgini di Teramo, che scontò la pena nell’isola di Ventotene in compagnia di Sandro Pertini3.
Ci sono le prove che Mussolini seguiva personalmente la repressione del proselitismo, soprattutto per quanto riguarda i testimoni di Geova. Su diverse proposte d’assegnazione al confino, e d’altra natura punitiva, era stampigliata la frase: «Presi gli ordini da S.E. il Capo del Governo», o «Presi gli ordini dal Duce», con la sigla del capo della polizia Bocchini, segno d’approvazione della proposta4.
Nel 1940 ventisei Testimoni, ritenuti i maggiori promotori dell’attività clandestina, furono deferiti al Tribunale Speciale che comminò loro condanne per un totale di quasi centonovanta anni complessivi di carcere. L’accusa: Aver diffuso, letto e commentato ad altri pubblicazioni bibliche che, secondo gli inquirenti, offendevano la dignità del duce, del re, del papa e di Hitler5. Fra le tre donne condannate dal Tribunale Speciale vi era Albina Protti, vedova di Remigio Cuminetti deceduto l’anno prima.
Una delle ventisei condanne fu inflitta a Salvatore Doria. Il suo e quello di Narciso Riet, arrestato nel 1943, costituiscono i due casi di deportazione al momento noti in Italia. Riet morì a Dachau, poco prima della liberazione del campo; Doria ritornò da Mauthausen gravemente offeso nel fisico e nello spirito6.
Aneddoti
Appartengono a quell’oscuro periodo di storia italiana alcuni aneddoti che riguardano persone di cui si è già fatta menzione.
Vittorio Paschetto, di Prarostino, conobbe personalmente Remigio Cuminetti. Nel numero di luglio-agosto 1952 de L’INCONTRO rievocò «l’odissea» di quell’obiettore durante la prima guerra mondiale. Ne citiamo, di seguito, due passaggi significativi.
[Dopo la condanna inflittagli e alcuni mesi trascorsi fra carcere e manicomio] «Rimandato al corpo, un maggiore volle ridurlo all’ubbidienza, e un giorno gl’impose, puntandogli la rivoltella, di prendere le armi e di andare in linea. Cuminetti […] si rifiutò imperturbabilmente […] Allora il maggiore ordinò a due soldati di preparargli lo zaino e quindi caricarglielo sulle spalle […] Dopo […] gl’impose nuovamente, minacciandolo sempre con la rivoltella, di recarsi in linea. Ma siccome Cuminetti non si muoveva, il maggiore ordinò ai due soldati di prenderlo sotto braccio e di condurlo […] a viva forza. […] mentre stavano avviandosi, egli si limitò a osservare: ‘Povera Italia, se per mandare un soldato in linea si deve farlo condurre da due altri, come farà a vincere la guerra?’. […] [l’]implacabile maggiore rimase disarmato […] e lo rimandò in prigione.
Prosegue il racconto di Vittorio Paschetto:
«…dopo aver scontato altri mesi di carcere, […] [Remigio] finì per accettare l’offerta di prestar servizio nel corpo di Sanità […] Un giorno […] seppe che un ufficiale ferito si trovava davanti alla trincea senza avere più la forza di ritirarsi, e che nessuno osava andarlo a trarre di là. Egli […] riuscì a portare in salvo l’ufficiale, ma rimase egli stesso ferito ad una gamba […] Per l’atto di coraggio compiuto […] gli fu assegnata la medaglia d’argento al valore militare; ma egli rifiutò l’onorificenza […] per non dare l’impressione che se la fosse guadagnata con chissà quale atto d’eroismo in sanguinoso combattimento. Rimandò indietro pure la medaglia interalleata recante l’incisione ‘Guerra per la Civiltà’ […] [parole] troppo in contrasto per poter essere così accomunate»7
Un altro aneddoto riguarda Albina Protti Cuminetti, moglie di Remigio, condannata dal Tribunale Fascista. Nel carcere di Perugia una detenuta comune, dopo aver appreso la causa della sua incarcerazione, così si espresse: «A lei che non vuole uccidere hanno dato undici anni e a me che ho ucciso mio marito ne hanno dati dieci … o sono pazza io, o sono pazzi quelli di fuori»8
Nel 1945, dopo aver scontato sei anni di confino per ideali religiosi avversati dal fascismo, Aldo Fornerone ritornò a casa. Durante la ritirata, un gruppo di militari tedeschi fece irruzione nella sua abitazione. Il graduato che li comandava, vedendo una Bibbia sul tavolo ed un quadro alla parete che ne raffigurava una scena, domandò: «Bibelforscher?» (Studenti Biblici?) Ricevutane risposta affermativa, il militare fece serrare la porta, confabulò con i suoi uomini e disse in francese ai padroni di casa: «Ho rassicurato i miei uomini che siete testimoni di Geova, le uniche persone al mondo dalle quali non abbiamo nulla da temere». Aggiunse di avere parenti Testimoni in Germania, internati nei lager a motivo del loro pacifismo. Dopo aver mangiato, se ne andarono lasciando l’abitazione intatta. Quel giorno a Prarostino ci furono uccisioni, rastrellamenti e alcune case furono incendiate. Di lì a poco arrivarono i partigiani, i quali sapevano della prigionia e del confino subiti da Aldo per il rifiuto della tessera fascista e l’opposizione alla guerra. Pur stupiti del fatto che non fosse stato condotto via dai tedeschi, anch’essi accettarono il cibo e se ne andarono. La neutralità di Aldo e Maria Fornerone non fu scambiata, da nessuna delle due parti in conflitto, per ambiguo collaborazionismo9.
«Paranoia religiosa» o ‘amore per il prossimo’?
Negli anni 1939-1943, mentre alcuni Testimoni furono condannati per aver rifiutato il servizio militare altri furono invece riformati perché considerati affetti da disturbi mentali. Ad esempio Gerardo Di Felice, riformato nel 1939 per «psicosi paranoide»10 e Francesco Zortea, nel 1941, per una «sindrome delirante paranoidale basata su una insensata e fantastica concezione della vita in rapporto a credenze religiose»11. Guido Costantini e Francesco Liberatore furono invece condannati nel 1940 per il rifiuto di partecipare ai corsi premilitari12. Nicola Di Felice, fu condannato nel 1943 a due anni di reclusione dal Tribunale Militare Territoriale di Bologna, per «disobbedienza continuata» ad indossare l’uniforme13.
È di quell’epoca un Rapporto di Pasquale Andriani, ispettore generale di polizia, datato «Avezzano 3 gennaio 1940», che fa luce sulle reali motivazioni pacifiste dei Testimoni. Così si espresse il funzionario della QUARTA ZONA O.V.R.A.: «Il comandamento di Dio di ‘non uccidere ed amare il prossimo come se stessi’ va interpretato nel senso più restrittivo e letterale; quindi nessun testimone di Geova, per qualsiasi motivo, può impugnare le armi contro il prossimo»14
Obiettori di coscienza in tempo di pace
Finora abbiamo parlato dell’obiezione di coscienza durante gli anni di guerra. Per completezza, è opportuno accennare a quello che l’obiezione di coscienza ha rappresentato, almeno nel nostro paese, durante gli anni di pace.
I primi obiettori di coscienza condannati nell’Italia del dopoguerra furono Rodrigo Castiello, nel 1947, ed Enrico Ceroni, l’anno successivo, entrambi testimoni di Geova. Fecero seguito innumerevoli altri. È doveroso citare i non Testimoni Pietro Pinna, nel 1948, Elevoine Santi, valdese, nel 1950, Giuseppe Gozzini e Fabrizio Fabbrini, cattolici, nel 1960. Tuttavia, come ha scritto Rodolfo Venditti, magistrato di Cassazione: «Sul piano dell’obiezione religiosa, gli obiettori più numerosi furono gli appartenenti ai Testimoni di Geova»15
All’epoca, coloro che opponevano rifiuto erano puniti con una serie di reiterate condanne che seguivano puntualmente ad ogni nuovo diniego. Scrive Sergio Albesano in Storia dell’obiezione di coscienza in Italia: «È praticamente impossibile risalire ai nomi di tutti i testimoni condannati per obiezione». Nel capitolo ad essi dedicato, l’autore ne menziona, a titolo esemplificativo, almeno cinquanta; in buona parte patrocinati dall’avvocato torinese Bruno Segre, che ne divenne il difensore storico. Sottolinea Albesano: «Gli obiettori politici provenivano soprattutto dalle regioni settentrionali ed in particolare dall’asse Perugia-Firenze, mentre i testimoni di Geova erano disseminati sull’intero territorio italiano, dal Piemonte alla Sicilia». Per tutti, due casi emblematici. Ennio Alfarano, di Roma, fu processato per la quinta volta il 18 giugno 1958, imputato di disubbidienza continuata aggravata, dopo che aveva già subito quattro processi e tre anni di carcere. Il Tribunale di Torino gli inflisse ulteriori dieci mesi e undici giorni di reclusione, per un totale di oltre quarantasei mesi di detenzione effettiva. Lo stesso tribunale, quattordici giorni dopo, condannò per la terza volta Giuseppe Timoncini, di Faenza, che aveva già scontato otto mesi di reclusione, ad altri undici mesi16.
Nel 1972 fu approvata la «legge 772», «Norme per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza», che risultò, comunque, inadatta per i giovani testimoni di Geova. Il progetto elaborato dal ministro Giovanni Marcora era rivolto esclusivamente agli «obbligati alla leva» e concepito per «soddisfare l’obbligo del servizio militare». (Art. 1) Desiderio dei testimoni di Geova era d’essere esentati dal servizio militare e non «soddisfar[n]e l’obbligo», seppure con un servizio alternativo non armato. Quantomeno, le «Norme» servirono ad aprire la strada al riconoscimento del «nobile rifiuto» nel nostro paese.
Tuttavia, solo l’abolizione del servizio militare obbligatorio, a partire dal 1° gennaio 2005, risolse definitivamente la questione.
Tutto questo, non lo dimentichiamo, in tempo di pace.
Non un gesto strumentale né un’imposizione
Anche se nell’Italia del secondo dopoguerra i Testimoni di Geova hanno costituito «oltre [il] 90 per cento dei giovani obiettori processati e condannati dai Tribunali Militari»17, i fatti correlati hanno avuto luogo con una tale discrezione che l’opinione pubblica neppure si è accorta della loro presenza. Sarà perché la scelta dell’obiezione dei singoli testimoni è sempre stata dettata dalla propria «coscienza» e non imposta dalla confessione di appartenenza. Ispirata, piuttosto, alla figura del giovane soldato di leva Massimiliano, che nel III secolo d.C. rifiutò di prestare servizio militare dicendo semplicemente «sono cristiano»18. Alla domanda del proconsole: «Chi ti ha messo in testa queste idee?», il ragazzo rispose: «La mia coscienza e colui che mi ha chiamato»19
«Neutralità tra le forze in contrasto»
Cogliendo lo spirito d’un antimilitarismo atipico, lo storico Giorgio Rochat lo ha così classificato: «In definitiva, il rifiuto del servizio militare ha per i testimoni di Geova un significato completamente diverso che per i vari movimenti antimilitaristi […] l’obiezione di coscienza ha per essi un interesse puramente individuale […] ostentano neutralità tra le forze in contrasto. Questa è la discriminante fondamentale tra l’antimilitarismo nelle varie forme ed i testimoni di Geova […] è doveroso additarli al rispetto di tutti – per ciò che concerne la coerenza della loro obiezione – e dar loro l’aiuto di una pubblicità che pure non desiderano»20
*(informazione pubblica dei Testimoni di Geova, albertobertone@teletu.it)
NOTE BIBLIOGRAFICHE:
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AA.VV., Le periferie della memoria. Profili di testimoni di pace, Associazione Nazionale perseguitati Politici Antifascisti, Torino, Movimento nonviolento, Verona 1999, pp. 56-63.
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AA.VV., Le periferie della memoria. Profili di testimoni di pace, op. cit., pag. 57.
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AA.VV., Federico Cereja (a cura di), Religiosi nei lager. Dachau e l’esperienza italiana, Consiglio regionale del Piemonte, Aned, FrancoAngeli, Milano, 1999, p. 205.
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P. Piccioli, Studi Storici, I testimoni di Geova durante il regime fascista, Carocci editore, I/2000, pp. 215, 216.
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G. Rochat, Regime fascista e chiese evangeliche. Direttive e articolazioni del controllo e della repressione, Claudiana, Torino, 1990, p. 295.
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AA.VV., Federico Cereja (a cura di), op. cit., pp. 205, 206.
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V. Paschetto, L’odissea di un obiettore durante la I guerra mondiale, L’Incontro, luglio-agosto 1952.
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S. Graffard L. Tristan, I Bibelforscher e il nazismo (1933-1945) I dimenticati dalla storia, Edition Tiresias, Paris 1994, p. 113.
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Annuario dei Testimoni di Geova 1983, Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania, pp. 171, 172.
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Documentazione presso l’ospedale militare di Bari (Ufficio Rassegne), comunicazione del 3 marzo 1939, e presso l’ospedale psichiatrico di Bisceglie “Casa della Divina Provvidenza”, cartella clinica, 18 marzo 1939.
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Archivio Centrale di Stato (ACS), ministero dell’Interno, Direzione Generale della P.S., 13 marzo 1940, categoria G1, busta 314.
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Sentenza del Tribunale Militare di Napoli, 13 gennaio 1940, presso l’Archivio Centrale di Stato, Tribunale Speciale.
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Sentenza del 5 marzo 1943 presso l’archivio del Tribunale Militare Territoriale di La Spezia.
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Rapporto quarta zona O.V.R.A. n° 0799, Avezzano 3 gennaio 1940, oggetto: Setta religiosa “Testimoni di Geova”.
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R. Venditti, L’obiezione di coscienza al servizio militare, Giuffrè Editore, Milano 1994, pp. 84, 85.
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S. Albesano, Storia dell’obiezione di coscienza in Italia, Santi Quaranta, Treviso 1993, pp. 117-128.
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L’Incontro, dicembre 2014, p. 2
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E. Pucciarelli, I cristiani e il servizio militare. Testimonianze dei primi tre secoli, Nardini, Firenze 1987, p. 293.
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I. Lana, Obiettori di Costantino, Stampa Sera, 26 ottobre 1987.
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G
JW.
ORG
. Rochat, L’antimilitarismo oggi, Claudiana, Torino 1973, pp. 101, 102.
Sono i DIMENTICATI DELLA STORIA. Nei campi di concentramento nazisti c’è n’erano tanti, identificati con il triangolo viola, ed era certo con non lo facevano per moda o opportunismo come lo si potrebbe fare ora in tempo di pace.