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Todos somos Americanos

DiEnrico Peyretti

Dic 22, 2014

Un presidente degli Stati Uniti d’America (del nord) che dice «Todos somos americanos», fa accadere qualcosa, apre un decisivo confine. Il nome “americano” diventa grande come l’America. I nomi sono destini, le parole sono annunciazioni di realtà. Finora, America era nome sequestrato dal solo nord, di cui il sud era il “cortile di casa”, come pretesero altri presidenti settentrionali, dal 1823 alla “Alleanza per il progresso”, e oltre. Ma il continente che, unico nel mondo, congiunge le zone polari sia del nord che del sud, come una vocazione alta di unità, si chiama  tutto America, da quando, cinque secoli fa, il cartografo M. Waldseemüller lo chiamò così in onore di Amerigo Vespucci, che ne percorse le coste meridionali.

I confini sono, come noi persone con un corpo definito nello spazio, in bilico tra aprirsi e chiudersi. Vuol dire che lì due realtà territoriali, abitate e animate, finiscono insieme: con-finiscono. Una diventa l’altra. Possono chiudersi in sé oppure porsi contro. Possono toccarsi comunicando. Le identità impaurite e imperiose chiudono. Le identità consapevoli dell’universale aprono. Le regioni della terra più ricche di vita e di futuro sono i confini. obana che twitter

Siamo tutti americani, vuol dire che i confini sono chiamati ad essere contatti: l’America anglofona (ma sempre più polifona) e l’America che parla ispano-portoghese cominciano ad ascoltarsi, tramite l’istmo e le isole che fanno da ponte. Sono chiuse nel passato le invasioni militari e le batterie di missili pronte a uccidere il mondo. Gli uomini che sognarono quel continente intero di pace e convivenza, con i nativi, con i figli degli schiavi riconosciuti cittadini, ricominciano a sognare, nonostante che il passato pesi ancora sul presente, nei duri confini interni razziali.

La storia umana sulla terra è sempre sospesa, tra il coraggio del vivere insieme sull’unica terra, città umana di case umane, e il blocco sterile su di sé, fuori dal cammino comune.

I nostri confini italiani sono quelli entro l’unica Europa, aperti ma ancora ingombri di rottami del passato insanguinato e angusto, ma sono anche il Mediterraneo, percorso in andata dalle armi del colonialismo, e ora, di ritorno, dai migranti coraggiosi superstiti, che prefigurano la nuova cosmopoli.

Enrico Peyretti

Immagine di copertina tratta da sanfrancescopatronoditalia.it

Di Enrico Peyretti

Enrico Peyretti (1935). Ha insegnato nei licei storia e filosofia. Membro del Centro Studi per la pace e la nonviolenza "Sereno Regis" di Torino, del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Università piemontesi, dell'IPRI (Italian Peace Research Institute). Fondatore de il foglio, mensile di “alcuni cristiani torinesi” (www.ilfoglio.info). Collabora a diverse riviste di cultura. Gli ultimi di vari libri (di spiritualità, riflessione politica, storia della pace) sono: Dialoghi con Norberto Bobbio su politica, fede, nonviolenza, (Claudiana, 2011); Il bene della pace. La via della nonviolenza (Cittadella, 2012). (peacelink.it/peyretti)

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