C’erano 12 partecipanti e si è al solito respirato un buon clima di amicizia e collaborazione nella autogestione dei pasti e delle pulizie, così da creare un gruppo solido anche nel lavoro di formazione, come da tradizione alla Casa per la pace. Dopo avere lavorato sul conflitto e sul trauma, nelle precedenti estati, finalmente si è puntato sui temi già affrontati, ma lavorando su casi concreti proposti dai partecipanti, quindi con un aumento del coinvolgimento emotivo.
La trappola della polarizzazione in punti di vista inconciliabili è il principale impedimento alla risoluzione di un conflitto. Occorre imparare a leggere le situazioni nella loro complessità, rifuggendo dalle interpretazioni immediate. Lo stesso uso del linguaggio medico per l’analisi delle situazioni conflittuali, con l’iter di diagnosi, prognosi e terapia, proposto da Galtung, ci accompagna verso una dimensione di ricerca e di cura, piuttosto che di giudizio, pur mantenendo i vissuti emotivi. Per arrivare alla diagnosi bisogna passare da un’accurata mappatura del conflitto, identificandone gli attori (diretti e indiretti, palesi e nascosti) con i rispettivi obiettivi e bisogni e con i mezzi che ciascuno d’essi usa per cercare di raggiungerli. Ma per capire meglio gli obiettivi degli attori non si potranno ignorare i loro sogni e i loro incubi, né i traumi e le ferite del passato.
Erika ha scelto di dare spazio all’approfondimento di tre casi concreti, prima in sottogruppi e poi tutti assieme. Obiettivo: essere creativi e ipotizzare tante soluzioni per ciascun problema, partendo dallo schema diagnosi-prognosi-terapia. Perché bisogna anche incoraggiare. In seguito ad esempio alla presentazione del conflitto fra comportamenti violenti e nonviolenti nelle manifestazioni contro le basi militari in Sardegna, che era un conflitto interiore di uno dei partecipanti, si è creato del materiale di analisi del conflitto stesso, con suggerimenti generati dalla conoscenza del caso e dalla creatività, che vanno in tante direzioni e che meritano un’accurata riesamina. Lo stesso lavoro è stato svolto anche su un conflitto familiare di una coppia con figlio che si separa e su un conflitto interiore causato da una ferita del passato. La “terapia” passa per l’ascolto dei bisogni e degli obiettivi della persona e degli altri attori, diretti o indiretti. Ovviamente siamo ora di fronte non ad un lavoro finito, ma solo ad uno squarcio in più nella tela, che ci fa intravvedere qualcosa di più del metodo Transcend, incuriosendoci e affascinandoci. L’importante sarà capire se vogliamo andare avanti. Magari partendo proprio dal conflitto che ci coinvolge maggiormente. Ovvero trovare continuità anche da soli, con la supervisione di Erika, vedremo se solo online.
Darsi uno o due incontri intermedi di confronto fra un’estate e l’altra diventa ormai necessario, se vogliamo cogliere davvero l’opportunità dell’approfondimento del metodo Transcend, allo scopo di utilizzarlo poi nelle situazioni concrete. In caso contrario, darci appuntamento alla prossima estate perderebbe di senso.
Carlo Bellisai