Oltre a sperare in un esito non catastrofico della vicenda ci sarebbe molto da fare. La speranza la si vorrebbe ben riposta. Il presidente Kais Saied è un indipendente, eletto nel 2019, sostenuto in particolare dai giovani. È un professore di diritto costituzionale, non un generale dei carristi come Abdel Fatah Al Sisi, e la Tunisia non è l’Egitto. Osserva giustamente Silvia Colombo che per la giovane e preziosa democrazia tunisina più che prediche ed auspici sarebbe utile un serio sostegno sanitario e vaccinale. Contagi, decessi e ospedali al collasso portano all’esasperazione cittadini già in difficilissime condizioni di vita.
La rivoluzione dei gelsomini
Iniziata drammaticamente – nel dicembre del 2010 il giovane Bouazazi si dà fuoco denunciando le vessazioni poliziesche – la protesta si estende all’intero paese fino a costringere alla fuga, in Arabia Saudita, neppure un mese dopo, il presidente Ben ‛Alī, al potere dal 1987. Dal padre Bourghiba ha ripreso solo i tratti autoritari e repressivi degli oppositori, fino alla tortura. La rivoluzione supera i confini. Investe di speranza i vicini Egitto e Libia e i più lontani Siria e Yemen. Una rivoluzione pacifica sembra aprire e liberare, nelle diverse situazioni, popolazioni oppresse. A me l’espressione rivoluzione dei ciclamini piace. Il richiamo dei fiori dice dell’assenza di violenza, come nella rivoluzione dei garofani (Revolução dos Cravos), 1974 Portogallo, o nelle più vicine rivoluzione delle rose, 2003 Georgia, e rivoluzione dei tulipani, 2005 Kirghizistan. Ma il profumo dei gelsomini è più penetrante e va più lontano, come nell’attacco di una canzone d’amore toscana: Quando nasceste voi nacque un giardino, di mille qualità c’erano i fiori; l’odore si sentiva di lontano, e specialmente quel del gelsomino. Così lontano da impensierire pure la Cina. In vario modo mette al bando la canzone Mo Li Hua, fiore di gelsomino, disdice l’annuale Festival Internazionale del gelsomino e ne ostacola coltivazione e vendita. Il canto, popolarissimo in Cina – ispira Là sui monti dell’Est nella Turandot – consiste nella ripetizione di queste parole Un bel fiore di gelsomino Un bel fiore di gelsomino odoroso, bello, pieno di petali fragrante e bianco, compiace chiunque Lascia che io ti colga Ti dia a qualcuno fiore di gelsomino, oh, fiore di gelsomino. Infine un bel racconto a fumetti di una giovane italiana di origini tunisine, Takoua Ben Mohamed, è intitolato La Rivoluzione dei Gelsomini.
La breve primavera araba
La Tunisia non condivide le disgraziate sorti dei paesi ricordati, Libia, Egitto, Siria, Yemen, partecipi di quella che è stata pure chiamata primavera araba. Avvia un percorso di cambiamento con la partecipazione della società civile; tiene elezioni libere; adotta nel 2014 una nuova costituzione. Il Premio Nobel per la pace del 2015 al quartetto, nato nel 2013, tra i più rilevanti protagonisti (sindacato generale, confederazione dell’industria, del commercio e dell’artigianato, lega dei diritti umani, ordine nazionale degli avvocati) riconosce questo processo. Si avvertono in modo crescente, con effetti di crisi istituzionale – si avvicendano nove governi –, bassa crescita economica – anche il turismo è stato colpito dalla pandemia –, disoccupazione, terrorismo, corruzione, evasione fiscale, migrazione irregolare, ingiustizia sociale… Una disperazione crescente porta a emulare il gesto di Bouazazi. Sono centinaia a darsi fuoco: leggo che solo nei primi mesi del 2020 si verificano 62 gesti di questo tipo.
Una guida d’eccezione
Un giudizio netto su quanto avviene, sulle cause e la possibilità di un’uscita positiva è nella breve, densa intervista al manifesto di Yadh Ben Achour, giurista di fama internazionale, del Comitato dei diritti umani delle Nazioni unite, guida del percorso giuridico dalla Rivoluzione dal gennaio 2011 sino all’elezione dell’Assemblea costituente nell’ottobre dello stesso anno. Presidente dell’Autorità per la realizzazione degli obiettivi della Rivoluzione, della riforma politica e della transizione democratica, con i suoi collaboratori ha predisposto le leggi per le elezioni e la bozza della Costituzione, entrata poi in vigore nel febbraio del 2014. Secondo Achour il presidente Saied viola la Costituzione da mesi. La società civile è la vera resistenza. Le istituzioni sono gusci vuoti e il partito islamista si comporta da predatore. Questo spiega il giubilo popolare che si è scatenato quando è stato dichiarato lo stato di emergenza.
Ho avuto il piacere di conoscerlo personalmente, grazie ad Orsetta Giolo dell’Università di Ferrara, profonda conoscitrice della realtà tunisina e non solo. È lei, con la collega Renata Pepicelli, Università di Pisa – ha i medesimi interessi di ricerca, sua è pure l’introduzione al racconto a fumetti di Takoua Ben Mohamed – a condurre l’intervista a Yadh Ben Achour. Del giurista tunisino consiglio la lettura de La tentazione democratica, ombre corte, Verona 2010, tradotto e introdotto da Orsetta Giolo. Di lei sto leggendo Intellettuali e diritto nel mondo arabo contemporaneo. Potere religione società, Carocci, Roma, 2020. Gli intellettuali hanno un compito difficile, sull’altra sponda del Mediterraneo, per contribuire all’affermazione della democrazia e dei diritti, stretti tra la dittatura dello Stato e quella della Moschea (o di entrambe). Quanto a democrazia e diritti non stiamo troppo bene neppure nella privilegiata Europa. Anche su questa sponda la paura detta l’agenda e gonfia il consenso a partiti detti populisti: propongono muri e respingimenti, identità di terra e sangue, xenofobe e razziste. Intanto si potrebbe, con il regista tunisino Mourad Ben Cheikh, ripetere Plus jamais peur, mai più paura, come il titolo del suo documentario sulla rivoluzione di dieci anni fa..