“Vi racconto la storia della quercia e della ghianda impaziente: Una ghianda si sente pronta prima di tutte le altre. Vuole staccarsi dalla grande quercia. ‘Voglio cadere nel suolo, aprirmi, mettere radici e divenire quercia anch’io’. ‘Non è il momento. Non sei pronta. Non hai la forza di fare quello che giustamente vuoi. Attendi il tempo che occorre’. Impaziente la ghianda si divincola e cade al suolo. Cerca di nascondersi sotto le foglie. Il porco la individua e ne fa un boccone”. Serio, ma con un grande sorriso, aggiunge: “La quercia è l’anarchia, il porco è il partito”.
La sua – lo apprenderò poi, lui non ci dice nulla al riguardo – è una vita (Firenze 10 ottobre 1900 – Savona 4 giugno 1986) impegnata e avventurosa tesa allo sviluppo della grande e benefica quercia. Giovanissimo operaio della Vickers Terni a la Spezia (l’attuale OTO Melara, già allora specializzata in forniture militari), a 17 anni è segretario dell’Unione degli Operai Metallurgici, aderente all’U.S.I., il sindacato anarchico. Lo chiamano Lenin, per il pizzetto (quello lo ricordo anch’io) e per l’impegno rivoluzionario. A 19 anni la prima condanna a sei mesi: “eccitamento all’odio di classe”. A vent’anni è prosciolto, per un tentativo insurrezionale fallito, mentre vengono condannati marinai per ammutinamento a bordo della corazzata Duilio. È organizzatore degli Arditi del popolo nei fatti di Sarzana, luglio 1921. L’avvento del fascismo lo costringe all’esilio a Nizza, con la moglie, dalla quale ha due figlie (1923 e 1926). Nella lista dei latitanti è il numero 1: “Lenin, Umberto, anarchico schedato, attivissimo nella propaganda e capace di tenere conferenze, molto temuto”. Non mi provo a seguirlo in tutta la sua attività e peregrinazioni in Francia, negli anni Venti e Trenta, fino allo guerra di Spagna. Subito cerca di dare il proprio apporto, attraverso l’invio di armi (ha per questo anche un processo) e poi si unisce ai combattenti.
Non aggiunge nulla nella conversazione a quanto ci ha detto nella conferenza pubblica. Ha illustrato il contributo anarchico a quella lotta e a quella, attualissima, per liberarsi da Franco. Ha rievocato, con grande sobrietà, momenti durissimi e lutti dovuti a scontri interni. Mi pare che i nomi – forse i soli da me conosciuti – fatti con evidente commozione, siano stati quelli di Berneri e Durruti. Ci ripete che è necessario aiutare i compagni spagnoli, in difficoltà, in una Spagna che conosce il suo miracolo economico: il Desarrollo. Niente ci dice del suo ritorno in Francia, dopo la sconfitta della repubblica spagnola, del suo arruolamento nella Legione straniera nel 1940, per poter soggiornare legalmente nel paese, della sua militanza nella Resistenza francese, del suo rientro in Italia…
Ricordo l’importanza che attribuisce alla causa della pace. Saprò solo ora della sua amicizia, negli anni Cinquanta con Pietro Ferrua, obiettore anarchico, antimilitarista e amico della nonviolenza. Due anni dopo Pietro Pinna ha fatto la medesima scelta. Ha avuto lo stesso difensore, Bruno Segre, la stessa testimonianza a favore di Umberto Calosso, mentre non viene ammessa quella di Edmondo Marcucci.
Negli ultimi anni Marzocchi si è avvicinato ulteriormente al pacifismo più risoluto, fino a fondare, con lo scrittore Carlo Cassola, la Lega per il Disarmo Unilaterale dell’Italia. Avrebbero potuto esserci dunque occasioni di incontro, che non ci sono state. Di querce malferme, di ghiande velleitarie, di porci malvissuti avremmo potuto riprendere a parlare. Ha partecipato intensamente a ogni iniziativa di liberazione fino alla morte.
La Spagna è rimasta nel suo cuore. Mi ha trasmesso allora la voglia di saperne di più e di fare qualche cosa, che non ho fatto. Non ricordo la data dell’incontro con Umberto: 1961 o 1962 direi. Il 1962 è l’anno della Spagna: l’amico Alberto Tomiolo – lo incontro l’anno dopo a Perugia da Capitini – partecipa al sequestro del viceconsole spagnolo (non gli è torto un capello); si tengono nelle città, anche nella mia, manifestazioni per scongiurare l’esecuzione di Julian Grimau… Marzocchi continua nel suo impegno antifranchista. Ferrua ricorda di averlo reincontrato nel 1974, reduce da un arresto in Spagna dove Franco, molto ammalato, è ancora al potere. Nel 1977 – Franco è morto da due anni – Umberto Marzocchi è detenuto a Barcellona, arrestato in una riunione anarchica clandestina.
Mi resta il ricordo di una figura nobile, fin nell’aspetto, di un sostenitore dell’anarchia come potere di tutti e il rammarico di non aver approfittato della conoscenza di quella sera lontana.