Decine di migliaia di persone hanno camminato, ancora una volta, lo scorso 7 ottobre, sulla strada che collega Perugia ad Assisi, lungo il percorso di pace tracciato nel 1961 da Aldo Capitini quando a Berlino era appena stato costruito il muro che tagliava in due l’Europa. Abbattuto quel muro, oggi molti altri muri e barriere attraversano l’Europa e il mondo e tagliano in due l’umanità, tra inclusi e respinti. Sulla strada per Assisi, a cinquanta anni dalla morte di Capitini, è emersa, vivace e colorita, la volontà comune di porre un argine alla logica dei muri e alla cultura della violenza che la sottende. Si è manifestato con grande forza e determinazione un rinnovato impegno, superata la logica delle diverse appartenenze, da parte di un mondo assai ampio e variegato, solidale e nonviolento, portatore di un’agenda differente da quella governativa, che soffia sulle tante paure e alimenta odiosi risentimenti verso l’altro. Nelle ultime settimane del resto si vanno moltiplicando iniziative di solidarietà e di apertura, con il concorso delle più diverse espressioni della società civile. In risposta alla “discriminazione del panino” in quel di Lodi, tempestive e spontanee sono giunte le tante donazioni di molti comuni cittadini.
Tuttavia non si può sfuggire ad una domanda. Come mai si è fatta così debole nella più larga pubblica opinione, nel senso comune (per non parlare della rete), la cultura dei ponti? Quella cultura promossa in anni difficili per l’Europa, ma non troppo lontani, anche da Alex Langer, che aveva lanciato l’allarme sulle illusioni di un destino facile per il mondo, di un “nuovo ordine mondiale” pacifico dopo l’89, percorrendo ogni angolo della ex-Jugoslavia per tentare di prevenire quella che si sarebbe rivelata come l’ultima disastrosa tragedia bellica dell’Europa del Novecento.
A questa domanda non possono sfuggire tutti coloro che non vogliono limitarsi ad atti, pur significativi, di testimonianza. Non basta ripercorrere la strada verso Assisi. “Una marcia non è fine a se stessa, produce onde che vanno lontano” scriveva Aldo Capitini, che pensava alla marcia come tecnica collettiva di lotta nonviolenta. Altrimenti rimane una bella passeggiata della domenica. Occorre fronteggiare con i mezzi costruttivi, della cultura e del dialogo, le paure agitate strumentalmente dai tanti seminatori di odio, dar vita a progetti, iniziative, sperimentazioni che rendano più credibile e percorribile la cultura dei ponti anziché dei muri.
L’alternativa al precipizio di civiltà è il disarmo: disarmare il pensiero, disarmare le parole, disarmare le azioni. La nonviolenza e la convivenza sono la risposta necessaria, capace di moltiplicare gli anticorpi che possono prosciugare il brodo di coltura nel quale proliferano i batteri dell’ignoranza, dell’egoismo, del fascismo. E’ necessario tagliare le enormi spese militari, riconvertire civilmente l’industria bellica, fermare l’esportazione di armi che creano morte, distruzione, migrazioni forzate e profughi che fuggono dal terrore e dalla miseria. E aprire le porte a chi cerca una vita migliore nel nostro Paese, moltiplicando canali umanitari per chi fugge dalle guerre, abolire il reato di clandestinità e costruire contesti regolari di convivenza, come quello sperimentato a Riace ed oggi sotto attacco, in cui misurare la capacità di governare realtà locali, con il protagonismo delle popolazioni.
Per fronteggiare quelle che il Premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievic ha chiamato “le nuove maschere dell’abisso” che in gran parte del mondo alimentano una storia fatta di odio e di paura, per superare un senso di impotenza che rischia di impadronirsi delle nostre giornate, serve uno sforzo straordinario, una nuova mobilitazione di movimenti collettivi e di coscienze individuali. Incalzando e sollecitando le forze democratiche e di sinistra, ancora smarrite e segnate dalla loro crisi politica. Anche di questo parleremo nelle iniziative che diverse associazioni e istituzioni hanno voluto promuovere in ricordo di Aldo Capitini e Alex Langer, a Reggio Emilia, tra ottobre e dicembre. Con il riconoscimento dovuto a due ricercatori appassionati di un altro modo di concepire le relazioni umane, liberate dagli schemi della violenza culturale, strutturale e diretta che stanno deformando il Paese, l’Europa e il Pianeta.
Qui le info sulla presentazione del libro Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini
Qui le info sulla mostra Le utopie concrete di Alex Langer
Articolo scritto a quattro mani con Lorenzo Capitani della Libera Università Popolare di Reggio Emilia