• 18 Dicembre 2024 16:13

Una notte sbagliata, fino alle radici della violenza

DiElena Buccoliero

Dic 15, 2022

In questa rubrica il tema sono le donne e i bambini cioè, molto spesso, le forme di violenza che li riguardano e il modo per prevenirle o contrastarle. Mi concedo un fuori tema e parlo di violenza e basta. Verso i fragili, tutti: uomini, donne e bambini.

C’è un cuore nero al fondo di “Una notte sbagliata”, spettacolo di e con Marco Baliani, ed è proprio quello che l’artista vuole indagare conducendo con sé i suoi spettatori.

In un’intervista lo ha detto chiaramente. «Il tema che mi ha sempre affascinato è questo: cos’è che spinge degli esseri umani a picchiare un altro essere umano, inerme, fino a torturarlo, fino a ucciderlo, in tanti?». Lo vedo al Teatro dell’Argine il 10 dicembre, proprio nell’anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e mi piace sapere che in questa stessa sala domani l’attore sarà intervistato insieme ad Alessandra Ballerini, avvocata della famiglia Regeni, da un gruppo di adolescenti.

“Una notte sbagliata” è la storia di Tano e Uni. Tano, diminutivo di Gaetano, e Uni, contrazione di Unico. Uni è il cane di Tano. Tano stesso è unico.

Gaetano è tante cose. Di sicuro una persona fragile, poco adatta al mondo. È il padrone di Uni, che lo adora, e risveglia in lui, grande e grosso, un cuore bambino. «È un balordo» dicono i poliziotti, un paziente psichiatrico direbbe un dottore. Un disadattato agli occhi della gente. Sì, ma è anche un uomo che non fa male a nessuno. Gentile, corretto, che non vuole dispiacere alla mamma, che quando scende con Uni si attrezza di sacchettini azzurri per non lasciare sporco il giardinetto sotto casa. Ha alcune precise idiosincrasie e le dichiara, ad esempio non gli piace essere toccato e neppure che gli si vada troppo vicino, salvo per la sorella, lei può, e anche la mamma oppure Margherita, la nipotina, anche loro possono, o il dottore che lo segue, gli amici del centro diurno, ma è un privilegio riservato a pochi intimi. Una distanza vitale deve preservarlo nel rapporto con gli altri.

Con il berretto di lana Marco Baliani è Tano. Seguiamo i suoi pensieri, mozziconi di frasi, lo vediamo umanissimo e in un attimo gli vogliamo bene. Fosse un nostro vicino di casa, nei giorni in cui la fretta non morde ci fermeremmo volentieri a chiacchierare con lui.

Quando il berretto non c’è e se ne sta impettito al centro della scena Baliani è il narratore, quello che vede – esterno – la notte sbagliata di Tano che era sceso per poco, di sera, perché Uni potesse fare pipì, e viene fermato da quattro poliziotti, provocato e spinto a reagire, pestato, lasciato riverso sull’asfalto.

Baliani è narratore fedele anche per quei quattro poliziotti, uno diverso dall’altro come è giusto che sia e come ognuno di noi è, presi in un meccanismo che non riescono a fermare: a fine turno, stanchi, frustrati, demotivati, vilipesi, malpagati, schiacciati da una gerarchia che rimuove la conoscenza diretta di questo ragazzone, mossi da un rancore acido che dovrebbe rovesciarsi su chi determina la loro condizione, su chi ha potere davvero e finge di aver bisogno di loro ma fa e disfa il mondo a proprio piacimento. Non possono, o non sanno come farlo, e allora c’è Tano, il capro espiatorio perfetto. Quando la furia finisce sembrano risvegliarsi da un incubo, insanguinati pensano alle mogli e ai bambini che li aspettano a casa, non sanno darsi ragione di sé. Baliani è anche dentro di loro, come è nel cane Uni che guaisce da lontano per richiamare un aiuto che non arriva o negli altri personaggi di questa storia.

Sono di Ferrara e per me, per tutti noi, una notte sbagliata è quella di Federico, Federico Aldrovandi. Non conosco dal di dentro i protagonisti, le similitudini vengono spontanee ma potrebbero essere fuori luogo. Lo scheletro della storia però ritorna. Così Tano è anche Stefano Cucchi, Riccardo Magherini, Giuseppe Uva… È Willy Monteiro Duarte picchiato selvaggiamente senza una vera ragione. Lo stesso accanimento lo ritroviamo in certi film di guerra, quelli in cui in un lager il disprezzo delle SS decreta la morte del più debole o del meno incasellabile tra gli internati. O invece no, siamo ancora in un film ma è girato in Cile durante la dittatura di Pinochet, oppure… oppure…

M’impressiona pensare in modo tanto naturale che la stessa radice possa essere ipotizzata nel comportamento di servitori dello stato o di un manipolo di nazisti, degli aguzzini in una dittatura o di prepotenti di quartiere.

Nella narrazione i fotogrammi del pestaggio si susseguono fino all’obitorio dove Tano è steso, irriconoscibile, davanti alla madre e alla sorella chiamate a riconoscerlo ed è un Cristo, è ogni Cristo quando il martirio ha fine. Proprio in quel momento, quando la commozione nel teatro è al culmine, l’attore attua un altro rovesciamento. Nei panni di un conferenziere o come in un dopo spettacolo, prende in mano un microfono a gelato e poi: “Ci sono domande?”.

Lo spiazzamento funziona. “Che sta succedendo?”, mi dico, e poi lo ringrazio perché quello che sta facendo è dirci che la commozione non serve se non risveglia la nostra intelligenza. Le domande per lui arrivano, poche, precise, registrate. Gli consentono di formulare dal vivo risposte altrettanto nette su quell’abc della violenza che come esseri umani non immuni dovremmo imparare a memoria: il meccanismo del capro espiatorio, il confronto con la fragilità, la disumanizzazione dell’altro. Quanto tutto questo sia vero nelle piccole come nelle grandi storie, solo che nei lager o nei gulag – vuol dirci l’attore – è moltiplicato per mille, per milioni di volte, come se tanti Tano e tante volanti della polizia fossero confluiti in quello stesso punto.

C’è una storia ancora che Marco Baliani vuole raccontare. Lo fa a bassa voce, come per pochi amici, e a piedi scalzi, cioè mettendosi a nudo e dicendo di sé. Per pudore non la ripeterò. Al sicuro sulle nostre poltroncine capiamo che Tano è un suo fratello, comprendiamo perché ha voluto raccontare proprio questa storia, che non corrisponde a nessun fatto di cronaca e neppure alla sua vicenda personale ma è una trama plausibile. Gli era urgente andare a fondo con il suo strumentario che è quello del teatro di narrazione per confrontarla con noi che lo stiamo ad ascoltare. Applaudiamo a lungo per ringraziarlo, per sfogare la tensione, la commozione, e fargli arrivare un abbraccio.

Scrive Marco Baliani nella presentazione: «In questo spettacolo porto in scena il corpo di un essere umano già fragile, corpo che in quella notte che, poi, solo dopo chiameremo sbagliata, diventa un capro espiatorio su cui accanirsi. Mi sembra di vivere in un tempo in cui la sacralità del vivente, la sua inviolabilità biologica si è incrinata e compromessa. Forse quando da cittadini siamo diventati consumatori qualcosa di quella inviolabilità si è dissolta. I corpi sono diventati merce e devono rispondere agli stessi requisiti di efficienza e di splendore delle altre merci, altrimenti diventano scarti, corpi “stranieri”, da cui guardarsi, che con la loro sola presenza incrinano la falsa luminosità del quotidiano, corpi da cacciare via, da odiare, di cui si può dunque abusare. Questa deriva mi spaventa molto, mi inquieta, e il teatro è l’unico modo che conosco per condividere questa mia inquietudine con la comunità degli spettatori e sentirmi così meno solo e meno impaurito».

Di Elena Buccoliero

Faccio parte del Movimento Nonviolento dalla fine degli anni Novanta e collaboro con la rivista Azione nonviolenta. La mia formazione sta tra la sociologia e la psicologia. Mi occupo da molti anni di bullismo scolastico, di violenza intrafamiliare e più in generale di diritti e tutela dei minori. Su questi temi svolgo attività di formazione, ricerca, divulgazione. Passione e professione sono strettamente intrecciate nell'ascoltare e raccontare storie. Sui temi che frequento maggiormente preparo racconti, fumetti o video didattici per i ragazzi, laboratori narrativi e letture teatrali per gli adulti. Ho prestato servizio come giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna dal 2008 al 2019 e come direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati dal 2014 al 2021. Svolgo una borsa di ricerca presso l’Università di Ferrara sulla storia del Movimento Nonviolento e collaboro come docente a contratto con l’Università di Parma, sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti.

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